Amare la birra e vedersela togliere per motivi di salute è una di quelle cose che non ti auguri mai nella vita.
Nel novembre 2011 è accaduto a me. In quel periodo mi sottoposi a dei controlli di routine a cui aggiunsi quelli relativi all’intolleranza al glutine – non avevo sintomi particolari, ma l’intuito mi suggerì di farlo. La risposta fu un fulmine a ciel sereno: celiachia! La cosa non mi turbò più di tanto per il cibo, ma la prospettiva di non poter più bere la bevanda che amavo mi destabilizzò per qualche giorno, fino a quando non decisi di dedicarmi a tempo pieno alla ricerca di ciò che offriva il mercato. Non potevo permettere che la malattia arrestasse la mia passione!
Da una prima indagine individuai le tre tipologie di birra che generalmente possono essere consumate da un celiaco. Innanzitutto ci sono quelle vendute nel circuito delle farmacie, ma sono francamente improponibili (basta leggere le etichette). Esistono poi birre realizzate con materie prime naturalmente prive di glutine, prodotte prevalentemente nel mondo anglosassone e che all’epoca della mia ricerca rappresentavano una frontiera nuova soprattutto in termini organolettici. Infine ci sono birre con malto d’orzo, dal quale tuttavia il glutine viene rimosso durante la fase produttiva. Ai tempi rappresentavano un’interessante novità.
Nel complesso comunque il panorama che mi si prospettava non era esaltante e volevo andare oltre quello che veniva offerto dal mercato. Decisi allora di approfondire i temi della produzione, cercando su testi e forum, soprattutto americani, informazioni utili per poter ottenere birre di qualità. I dati recuperati nelle settimane a seguire andavano tutti in una direzione, quella cioè dell’utilizzo delle materie prime naturalmente prive di glutine (miglio, sorgo, riso, mais, grano saraceno, etc…), difficili da reperire in Italia e soprattutto da gestire in fase di produzione.
Essendomi ritrovato in un vicolo cieco, virai la mia attenzione verso il malto d’orzo e le produzioni da questo derivate, cercando metodologie che permettessero di abbattere il contenuto di glutine nelle birre. Al fine di avere parametri oggettivi da analizzare, partii recuperando il reale contenuto di glutine presente nelle produzioni in commercio, pensando erroneamente che esistessero ricerche in tal senso. Di fronte alla totale mancanza di dati del genere, decisi di sostenere personalmente una ricerca sulle produzioni brassicole italiane, proponendo il progetto al centro di ricerca Conal di Cabiate (CO). I primi risultati furono sorprendenti: più del 30% delle birre si rivelarono al di sotto della soglia che identifica prodotti “a contenuto di glutine molto basso” (100ppm, cioè 100 mg/l), mentre in un caso (la Scik Pils di Birra del Borgo) eravamo al cospetto di una birra “inconsapevolmente” senza glutine (< 20ppm).
Ma il risultato più interessante della ricerca fu l’individuazione di alcuni stili birrai che sono predisposti per essere senza glutine (in genere quelli a bassa fermentazione) e alcune tecniche che aiutano l’abbattimento di questa proteina (lunga maturazione). A conti fatti nulla di trascendentale, se non che una birra “pulita” risulta essere anche una birra con poco glutine. Nel frattempo che alla ricerca continuavano ad aggiungersi birre (ad oggi siamo arrivati ad oltre 300), pensai di organizzare in Italia un concorso birraio dedicato alle sole birre senza glutine: nacque così il World Gluten Free Beer Award, che vide, nella prima edizione del 2013, 28 birre partecipanti da tutto il mondo. L’ottima risposta ricevuta dal concorso confermò la crescente attenzione nei confronti delle birre senza glutine, al punto che se ne interessò anche Slow Food grazie all’intuizione di Eugenio Signoroni e Luca Giaccone: per l’edizione 2015 della Guida alle Birre d’Italia mi chiesero di scrivere un capitolo sull’argomento.
Il resto del mio viaggio alla scoperta delle birre senza glutine è storia recente. Nel novembre 2014, parallelamente alla seconda edizione del WGFBA, ho introdotto un campionato dedicato alle birre italiane, l’Italian Low Gluten Beer Award. La competizione è stata strutturata sulla base di due parametri di giudizio: il primo legato alla valutazione organolettica della birra, il secondo strettamente connesso al quantitativo di glutine contenuto (sono state analizzate tutte le birre partecipanti), con un giudizio complessivo dato dalla somma dei due. Le birre partecipanti sono state 72, molte più di quelle previste per una prima edizione. Il podio ha visto la vittoria della H di Birrone, il secondo posto per l’Equilibrista di Birra del Borgo e la terza posizione della Delia del Birrificio Italiano. Anche in questo caso non sono mancate le sorprese: in particolare le prime due classificate si sono rivelate essere prive di glutine.
Così in pochi anni sono passato dalla prospettiva di non poter più bere birra a quella di scoprire un mondo di alternative interessanti. Sicuramente quello delle birre a basso contenuto di glutine o senza glutine è un segmento che nei prossimi anni sarà sempre più interessante e appetibile per il mercato, così come previsto in Gran Bretagna da Mintel – un’azienda che analizza il mercato del food&beverage – soprattutto in previsione del consumo di tali prodotti da parte di coloro che seguono un’alimentazione salutistica. Il mio auspicio, come vado raccontando da tre anni, è che l’Italia possa diventare leader in questo mercato. Dai risultati visti finora credo ci siano tutte le premesse affinché questo possa avverarsi e lo scopriremo insieme nei prossimi mesi all’interno di questa rubrica.
Seguo sempre con interesse Del Forno… devo distogliere la morosa (celiaca) dalle abberranti sglutinate industriali.
Aggiungo che sarebbe molto utile (come rilevato dal gestore del mio pub preferito) se, tra le tante indicazioni in etichetta, i produttori inserissero anche il contenuto di glutine.
A breve ci saranno novità interessanti in questo senso. Stiamo lavorando in questa direzione, per semplificare la conoscenza del contenuto di glutine per i singoli lotti. Appena sarà tutto pronto, ne parleremo in questa rubrica.