Ricorderò venerdì 24 giugno 2016 per il resto della mia vita. Ricorderò che dopo essermi svegliato ed aver letto che il Regno Unito aveva votato per uscire dall’Unione Europea ho continuato per diversi minuti a credere di trovarmi ancora nel mezzo di un sogno. Ricorderò che a quei primi minuti di torpore sono seguiti momenti di stupore, rabbia, frustrazione, e infine comprensione che tutto fosse fin troppo reale, con la consapevolezza che avrebbe avuto un effetto negativo sulla mia vita personale e professionale.
Nei mesi che hanno preceduto il referendum, le pagine dei giornali hanno ripetutamente evidenziato le potenziali ripercussioni negative che la Brexit avrebbe avuto sul settore ricettivo, e più specificatamente birrario, del Regno Unito. I giornalisti di settore non sono stati gli unici a sostenere l’adesione all’Unione Europea: a sfavore della Brexit si sono ufficialmente espresse anche diverse aziende di spicco tra cui Beds & Bars, City Pub Company, Compass Group, Racehorse Pub, Whitbread, Yummy Pubs e grossi birrifici come Adnams e Greene King. Unica voce discordante è stata quella di Tim Martin, presidente della catena di pub JD Wetherspoon (chi di voi è mai stato membro del CAMRA dovrebbe averne sentito parlare), il quale però non ha mai spiegato come sarebbe riuscito a rimpiazzare le centinaia di impiegati provenienti dall’UE che attualmente lavorano nei suoi pub al minimo sindacale.
Uno dei problemi principali della Brexit infatti, sarà proprio la possibile carenza di forza lavoro, e questo non solo nella ristorazione. A ciò va aggiunta anche l’alta percentuale di prodotti importati: in media circa il 38% tra bevande e cibo, i cui prezzi saliranno alle stelle. Non dovrebbe quindi sorprendere che, a quanto riportato dalla British Hospitality Association, il 74% delle aziende nel settore si erano schierate contro l’uscita dall’UE, mentre solo il 18% sosteneva la campagna “leave”.
Per gli amanti della birra il futuro sembra piuttosto grigio. I sostenitori della Brexit affermavano che, una volta usciti dall’UE, il crollo della sterlina avrebbe rilanciato l’export. Per semplificare, immaginate che voi siate un importatore italiano e che vogliate comprare cartoni di birre inglesi al costo di £20 ciascuno. Se due settimane fa (col cambio a £1=€1.30) il cartone vi costava €26, oggi (col cambio a £1=€1.20) vi costa solo €24, il che, volendo, vi permetterebbe di acquistare qualche cartone in più. Di base questo è un ragionamento che fila, peccato che funzioni solo se il prezzo del cartone rimane fisso a £20, mentre in realtà è difficile che accada. Infatti, nel Regno Unito buona parte dei produttori di birra importano materie prime e quant’altro dall’estero. Giusto per fare qualche esempio: luppolo da Stati Uniti, Germania, Belgio e Repubblica Ceca, malto da Germania e Belgio e, se questo non bastasse, keykegs dall’olanda. Il gioco è fatto: il prezzo del cartone aumenta per far fronte al basso potere d’acquisto della sterlina su materie prime e packaging e voi vi ritrovate a pagare molto di più di prima per importarlo.
Non vi soprenderà quindi scoprire che proprio l’import sarà uno dei settori che più potrebbe soffrire a causa del terremoto Brexit. È chiaro che se la sterlina dovesse perdere ulteriormente valore sarà sempre più difficile esportare verso il Regno Unito, senza contare che non si potrà sottovalutare il problema dei dazi doganali. Questo è un punto particolarmente dolente per i birrifici italiani che vogliano esportare nel Regno Unito; se oggi quello dei prezzi è un problema che chiude le porte a molti, nel futuro potrebbe diventare un ostacolo per tutti.
La scena birraria del Regno Unito si era aperta al mondo solo da pochi anni. A causa della Brexit potrebbe ritrovarsi nuovamente in una situazione di chiusura che andrebbe a discapito sia del mercato locale, sia del resto del mondo birrario. Le realtà più giovani, che hanno rimorchiato il Regno Unito fuori dalla sua introversione birraria, devono ora a fare i conti con un nuovo, imprevisto ostacolo. Ancora una volta ribadisco quanto questo Paese si trovi immerso in una crisi generazionale senza precedenti (ne parlai non troppo tempo fa nel mio post sul progetto di rivitalizzazione del CAMRA). I dati sull’età dei votanti non fanno che confermare il problema. Il 75% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha votato per restare, così come il 56% della fascia 25-49, mentre solo il 44% di coloro tra i 50 e i 64, ed un tristissimo 39% degli over 65.
Ovviamente la mia analisi va presa con le pinze. È difficile predire cosa veramente accadrà nei prossimi mesi in un momento in cui l’intero Paese è pervaso da totale incertezza politica, sociale ed economica. Non si sa quando sarà implementato il risultato del referendum, nè tantomeno sono state fatte proposte per gli step successivi. A noi non rimane che aspettare e berci qualcosa su; su questo credo non avrò alcun problema.
c’è un interessante articolo nel blog del birrificio Cloudwater tratta lo stesso soggetto. Consiglio di darci una letta, é abbastanza esplicativo sulle conseguenze per i produttori.
Ciao Vito, grazie per il commento. Concordo, è un’ottima lettura, ed è sempre utile comprendere il punto di vista dei produttori
Se aumentano i dazi doganali, vengono favoriti i mercati interni. In questo caso la birra inglese dovrebbe perdere quote di mercato all’interno dell’UE e quindi potrebbe favorire l’export di birra artigianale italiana all’interno dell’unione perchè potrebbe andrebbe a rimpiazare in parte la birra inglese importata in paesi come Francia, Spagna, la stessa Italia e nel resto dell’UE. I problemi li vedo più per il vino dove il tasso export/import verso gli UK nettamente a favore dell’Italia che probabilmente perderà quote di mercato per una contrazione del mercato interno inglese per i prezzi più alti e favorendo paesi come il Sud Africa, Australia, ….
Comunque è ancora troppo presto per fare i bilanci perchè questa Brexit resta una grande incognita.
Ciao Marco, grazie mille per aver espresso la tua opinione.
Non sono sicuro che una riduzione di export dal Regno Unito significherà necessariamente più mercato per l’Italia all’interno della UE, ma concordo che sia uno scenario possibile da non escludere.
Per quel che riguarda il vino, non ho le competenze necessarie per fare una lettura accurata, ma devo sottolineare che vini da Sud America, Australia, Sud Africa etc sono già diffusissimi nel Regno Unito.
L’hai presa bene vedo.
Purtroppo nei momenti di crisi le aziende tendono a rimanere statiche e ad investire poco (stessa cosa che è capitata in Italia), il che è comprensibile per quanto rappresenti un freno per la ripresa economica. Detto ciò rimango positivo: la birra è parte integrante della cultura britannica, quindi in un modo o nell’altro il settore troverà il modo di andare avanti.
complimenti, bel pezzo. gradevole da leggere
Grazie mille Niccolò, mi fa piacere sia stato di tuo interesse!
Prima dell’europa unita, per importare birra dall’estero bisognava perdere giornate intere presso la dogana, per le operazioni di sdoganamento, si pagavano i dazi, lo spedizioniere che eseguiva la pratica e bisognava fornire un campione della birra importata, con tanto di analisi di laboratorio allegata. Era insomma una limitazione non da ridere.
Poi con l’europa unita, tutto questo è stato abolito, porti la birra da stato a stato come portarla da una città ad un’altra, con una semplicità impensabile. Riducendo tempi e costi, insomma una bella differenza.
C’è per da menzionare anche l’altra faccia della medaglia, prima con mille difficoltà la importavi, la vendevi e te la pagavano.
Oggi non hai più tutta quella difficoltà ad importarla, mentre la difficoltà e diventata farsela pagare. Perché i locali non lavorano, cambiano di proprietà da un giorno all’altro e pochi sono disposti a pagare di più per un prodotto di qualità.
Il settore ha subito, in questi anni, una trasformazione pesante, tanto da rimpiangere i bei tempi di quanto si perdevano le giornate alla dogana con mille incazzature, ma credetemi se vi dico che si stava meglio, quando si stava peggio.
Grazie UE, Italexit ora.