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Cari birrifici, ecco a cosa potete aspirare: 320 hl di birra all’anno

birra2L’incredibile boom del segmento della birra artigianale in Italia rimane ancora oggi un fenomeno affascinante, anche per i suoi lati poco comprensibili. Come spiegarsi infatti una crescita che ha portato in pochi anni a una vera e propria moltiplicazione di microbirrifici? Ho trattato il tema diverse volte su Cronache di Birra e quasi sempre è tornata la solita domanda: come può il settore sostenere uno sviluppo così sostenuto? In effetti è difficile rispondere, ma è anche vero che lo stesso quesito è d’attualità da anni e nel frattempo l’apertura di nuove imprese brassicole non è certo rallentata. Per cercare di capirne qualcosa in più, oggi ho deciso di attenermi ai freddi numeri. E il risultato che ne è scaturito è alquanto preoccupante…

Partiamo allora dall’Annual Report di Assobirra, secondo il quale nel 2012 in Italia sono stati consumati 17,64 milioni di ettolitri di birra, per un totale in linea con i dati dell’anno precedente. Ora se diamo per buona l’equazione birra prodotta = birra consumata, possiamo risalire agli ettolitri di birra artigianale consumata. In mancanza di numeri precisi, è pacifico ritenere che i microbirrifici coprano l’1% della produzione brassicola nazionale. È una percentuale che negli anni non è mai stata ritoccata, quindi possiamo immaginare che in realtà sia leggermente più alta. Tuttavia parte della produzione finisce sui mercati esteri, quindi consideriamo pure questo 1% come attendibile. Data la precedente equazione, significa che in Italia vengono consumati 176.400 ettolitri di birra artigianale – occhio, è un ragionamento speculativo, non andate in giro a citare questo numero come l’effettivo consumo del settore.

Ora è interessante distribuire il totale sul numero delle aziende brassicole artigianali presenti sul mercato e la fonte di riferimento non può che essere Microbirrifici.org. L’homepage del sito ci informa che attualmente in Italia sono presenti 618 birrifici, ma per avere statistiche più corrette ho eliminato dal totale i birrifici con “produzione sospesa”, che al momento risultano essere 65 (quindi poco più del 10%). Rimangono perciò 553 aziende, che devono spartirsi gli ettolitri visti precedentemente. In media risultano alla fine poco meno di 320 ettolitri di birra all’anno per ogni birrificio.

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Qualcuno avrà già capito che i conti non tornano. Considerate infatti che i più grandi birrifici artigianali d’Italia hanno una produzione annua che si attesta sopra i 10.000 ettolitri (Baladin, Birra del Borgo, Lambrate e pochi altri). È vero che una parte finisce all’estero, ma capite bene che siamo lontani anni luce da quei 320 ettolitri di media visti sopra: una quantità che non garantirebbe a nessun birrificio di crescere o anche solamente di prosperare.

Come si sposano allora i dati con il gran numero di microbirrifici attualmente esistenti in Italia? Le spiegazioni sono diverse:

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  1. Non si sposano affatto – La continua nascita di nuovi birrifici sarebbe un fenomeno totalmente folle, che non terrebbe minimamente in considerazione le capacità del mercato. Tutte le aziende brassicole sorte negli ultimi anni sarebbero la conseguenza di un cieco entusiasmo, non suffragato da analisi approfondite del settore. La maggior parte dei birrifici oggi operanti sarebbero dunque destinati a chiudere nel giro di pochi anni, lasciando spazio solo a quelli più grandi e strutturati – e ora siete liberi di fare gli scongiuri che preferite 🙂 .
  2. Le cifre sono sbagliate – Visti i dati fuori da ogni logica, è plausibile pensare che ci sia qualche numero errato. Ora, sicuramente i dati sui consumi di birra in generale e quelli sul numero di birrifici sono corretti, quindi o abbiamo superato ampiamente l’1%, oppure io ho sbagliato qualche calcolo o considerazione 🙂 – cosa che non escluderei.
  3. Il mercato tenderà a crescere insieme ai birrifici – La visione più ottimistica ci spinge a credere che il successo della birra artigianale trainerà i consumi, facendoli salire verso percentuali ben superiori rispetto a quelle attuali. Il problema è che per sostenere gli oltre 550 birrifici, la crescita dovrà essere così ampia e repentina da superare anche le più rosee aspettative.

Personalmente non escludo in parte l’ipotesi 2 e 3: il mercato è probabilmente destinato a crescere e forse alcuni numeri non sono esattamente corretti. Purtroppo la loro incidenza è a mio avviso così marginale che la prima lettura appare la più realistica tra le tre. Con questo chiaramente non voglio tarpare le ali a chi sta progettando un proprio birrificio: è giusto inseguire i propri desideri se lo si fa con passione e competenza. Di certo oggi la concorrenza si è ingigantita, quindi per sopravvivere – ancor prima che per emergere tra i competitor – occorre avere uno spirito imprenditoriale non indifferente, oltre che saper fare buone birre.

E voi come considerate i numeri sciorinati precedentemente? A quale delle tre ipotesi credete maggiormente? C’è qualche altra chiave di lettura che non ho considerato?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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115 Commenti

  1. per me vale una combinazione dei punti 1. e 2. ma la domanda veramente interessante è: quanti di questi 550 birrifici sono anche brewpub o hanno uno più punti mescita collegati? prendiamo il solito riferimento USA e poniamoci la stessa domanda…

      • e quindi? anche la Heinechen costa qualche milione di volte di più che un microbirrificio da 10hl. però fa pure più soldi

        al posto di aprire un micro in 3 soci apri un brewpub con 5, magari uno già del mestiere. hai un canale pronti via che può assorbire la tua piccola produzione a ricarichi elevati senza dover andare col cappello in mano nei vari pub che già servono artigianale a fare la guerra dei prezzi oppure in quelli che ancora non la servono a spiegargli cos’è una birra artigianale e hai molto più fiato per crescere e farti un nome lavorando quindi sul lato commerciale intanto che non sei ancora nessuno

        • Tieni conto, caro SR, che non tutti (neanche mettendosi in 10 soci) hanno a disposizione la liquidità necessaria per sostenere l’investimento del pub. Senza contare che più soci sei più ti devi spartire i guadagni, quindi la formula dei tanti soci potrebbe anche essere non sostenibile.
          Inoltre, quasi il 90% dei birrai che aprono un birrificio lo fanno continuando a svolgere un altro lavoro, per sopravvivere.
          Il tuo ragionamento secondo me è un pò troppo “facilone”.
          Considera, infine, che fare anche il publican è una scelta di vita: si lavora la sera e di notte. Non è scelta che tutti vogliono fare, anche se si guadagna di più.

          • sì, ma lo leggi quello che scrivo o pratichi anche tu lo sport di mettere nelle bocche altrui quello che non hanno detto?

            1. io non ho scritto che TUTTI devono aprire un brewpub… ho detto che in USA quella è la tendenza, in Italia è l’opposto. per poi trovarsi nella bella stagione col banco spine a lavorare nei w.end in tutti le sagre della salamella possibili e immaginabili. chissà perché eh… a me vengono in mente un alto numero di birrifici in Italia di buono e ottimi livello dediti solo alla produzione. con un locale avrebbero il fiato ben più lungo. figurati uno che parte ora

            2. i finanziamenti, se uno li sa cercare anche in canali diversi, li riesce a trovare. non dico sempre, ma si riesce in molti casi caro mio. non a caso ti ho scritto un numero di soci superiore

            3. se raddoppi il numero dei soci e triplichi gli utili (più produzione = abbattimento dei costi fissi + margini maggiori dalla vendita diretta) tu mi insegni che la fetta si ingrossa, non diminuisce

            4. io qualche birraio lo conosco e il lavoro lo fa a tempo pieno. se tu mi parli di hobbysti o di gente che lo fa solo per passione e la mantiene con un altro mestiere è un altro paio di maniche, ma non credo abbia a che fare col tema trattato in questo post. uno che apre un birrificio e per mantenersi è costretto a farlo nei ritagli del suo lavoro non sta facendo business, lo fa per passione, il birraio part time è bellissimo ma anacronistico e giustamente rischia di essere cannibalizzato dal birraio full time

            5. lo so anche io che la vita del publican è dura, ma ci sono tanti altri lavori duri. e non a caso quando ti ho indicato la possibilità di aumentare il numero di soci ti ho detto che uno di essi potrebbe essere proprio uno del mestiere, un publican

            va che non ci vuole un MBA eh… basta ragionare un attimino e guardare come fanno nei posti dove nonostante l’alto numero di birrifici riescono a camparci tranquilli. se ti giri qualche micro in USA scoprirai che la stragrande maggioranza ha annesso un locale ed è brewpub (tutti o quasi sono nati così) e quei pochi che fanno solo produzione hanno sempre una taproom tipicamente aperta tutti i giorni. fai pure la tara con l’Italia, con le sue leggi e i suoi costumi, mi pare che qua si sia prediletto l’approccio opposto: io sono un “artista”, non i soldi e soprattutto le capacità imprenditoriali di cercare compagni di avventura per un impresa di ampio respiro, apro il mio birrificio riempiendomi di debiti, vendo ai locali, faccio le fiere e vediamo che succede. ne converrai che è un approccio rischioso, soprattutto oggi, e se arriva lo tzunami poi quelli con le fondamenta fragili vengono ovviamente spazzati via

          • 1° Le società vanno bene in due, di cui uno è di troppo.

            2° Se pensi di non essere competitivo sin dall’inizio, nel rapporto prezzo qualità e di dover elemosinare le vendite, col cappello in mano, allora ti conviene lasciar stare.

            3° Il vero potenziale della birra artigianale Italiana è ancora tutto da esprimere, visto che il modello d’impresa birrificio artigianale Italiano, è abbastanza statico, di novità da tirar fuori dal cilindro o cappello, c’è ne sono davvero tante e non penso ad ingredienti esotici.

            Ricci è di quelli che ha la soluzione in tasca per tutto, sempre ammesso che a rischiare siano gli altri.

          • 1. è proprio questo modo di ragionare a determinare il nanismo e tanti problemi del panorama italiano. restiamo, nella birra come in tante altre cose, al medioevo. innanzitutto esistono due tipi di soci: quelli che prestano la propria attività nell’azienda (potenziali rompicoglioni) e quelli di capitale. quelli di capitale hanno un unico interesse: veder remunerato adeguatamente il loro investimento. ne ho conosciuti, investire in tortellini o birra poco cambia, l’importante è il ROE. ti danno il grano, lo fai fruttare e hai la possibilità di fare business vero. oppure fai il nano e arranchi, nel frattempo qualcuno più sveglio si trova dei soci e ti fa le scarpe

            2. per quello ti fai un brewpub. altrimenti giri col cappello in mano cercando di scalzare chi è sul mercato da più anni di te e per quello è più competitivo e ha legami commerciali che tu non hai

            3. sicuramente. il brewpub è una delle strade possibili e sottoutilizzate. non l’unica ovviamente. senza la redditività di un locale annesso dubito che il numero di birrifici in USA potesse divenire tanto alto: un conto è servire la tua birra (buona) a 100, un conto convincere i pub della tua città a vendere la tua invece che Sierra Nevada e vendergliela a 30

            Ricci è uno di quelli che ha un minimo sindacale di cervello, gira il mondo quando riesce, parla con la gente e vede un po’ come funziona, nella birra e anche fuori dalla birra. te sei uno di quelli che “Le società vanno bene in due, di cui uno è di troppo”, tanti tanti auguri…

          • Il punto 1° era una battuta, ma non l’hai capita. Cambia sindacato. Ad ogni modo io un po di società ne ho fatte nella vita, anche con più di due soci, attualmente sono amministratore di una di queste e ne sto facendo una ex novo con 4 soci.

            Vendo birra da più di 30 anni, sia al dettaglio, sia all’ingrosso e non sono mai andato col capello in mano da nessuno, come non ho mai svenduto il prodotto.

            Ho anche avuto diversi locali che ho gestito per una 20 d’anni e so di cosa parlo, quando dico che gestire un locale ed avere un birrificio, sono cose molto diverse, visto che ho lavorato anche in birrificio.

            Io so di cosa parlo e tu? Con questo non dico che un brew pub non sia una buona base di partenza, ma che comunque implica investimenti di denaro e d’impegno, ben più ingenti del solo birrificio e lo dico a ragion veduta.

            E’ tipo degli oracoli cibernetici, fare il tutto semplice, al calduccio di un ufficio e col deretano accomodato dietro ad una scrivania. Con tutto il rispetto per chi lavora in ufficio, ma non elargire soluzioni che non ti competono. Se poi paragoni situazioni USA con quelle Italiane, sia nel business, sia nella birra, sei ampiamente più fuoristrada di un 4×4.

          • Caro SR, vedo che hai la risposta a tutto (oltre a ritenerti l’unico con la verità in tasca).
            Ti intendi di economia, di gestione aziendale, di produzione, di studi di mercato. Io sono un commercialista, ma ti assumerei per farti fare il mio consulente!! Parli anche di indici di bilancio (e, come certameeeeeeente saprai, il ROE è l’indice più bislacco da guardare).
            Certamente un locale appena aperto può permettersi di avere un sacco di soci (perchè ovviamente uno sconosciuto che apre può subito produrre 10 mila ettolitri, dato che è consolidato nel mercato, giusto?).
            L’aprire un birrificio facendo contemporaneamente un altro lavoro non è hobbismo, ma senso di realtà. Non tutti hanno il papà che li mantiene mentre mollano il lavoro che gli garantisce la sopravvivenza per buttarsi ad aprire un’attività che chissà se andrà. Non si vive di aria.
            Però, a nome di tutti, grazie mille per averci illuminato con la tua sapienza.
            Buona vita.

          • vabbè siamo già arrivati al cielolunghismo, al lei non sa chi sono io, a io lo faccio da 30 anni ci faccio i soldi e quindi tu non capisci un cazzo…

            il ROE è l’indicatore più della minchia del mondo, ma visto che siamo su un blog di birra e non di commercialisti se voglio avere una speranza seppur minima di farmi capire da chi ci legge ti cito il ROE, non l’EBITDA o l’indicatore di bilancio del vostro cuore… mi interessa il concetto, non far vedere chi è più bravo a tritare bilanci. ma non ci arrivate, pazienza

            tantomeno un frescone che mi dice che sono 30 anni che lavora così mi pare abbia capito granché dell’argomento in questione. PRIMO: io ho parlato di microbirrifici, non di rivenditori, cerchiamo di comprendere almeno l’italiano, oltre la ragioneria. che c’entrano i rivenditori? SECONDO: io sto parlando di chi si affaccia sul mercato ora e della situazione che trova e questo mi dice cosa è accaduto negli ultimi 30 anni… proprio sul pezzo…

            e cmq sì, so di cosa parlo. ci parlo anche io coi birrai, specialmente quelli di successo, so le difficoltà di alcuni e le politiche di altri per arrivare a produrre utili. vedo che alcuni quando hanno potuto hanno aperto un locale proprio. altri ci stanno pensando. altri per stare in piedi fanno ogni possibile genere di festival. altri fanno prezzi molto alti e per vendere sono costretti a cercare canali esteri da beer geek o andando oltreoceano. altri vanno nei locali, compresi quelli che frequento, a proporre il loro prodotto e per farlo devono scalzarne altri già presenti, magari da anni. come dice Andrea, se la domanda cresce più lentamente dell’offerta, son cazzi. e avere una tua rivendita ti permette di soddisfare parte della tua offerta a ricarichi elevati. ma prendo atto da voi due genii dei bilanci e della rivendita che il futuro sostenibile e prospero della birra italiana e la perpetuazione di un modello di birrificio da 300hl all’anno che si affida a qualche distributore o vende direttamente ai pub

          • Capisco che questa discussione stia diventando sterile, permettetemi un ultimo disperato tentativo e poi la chiudo.

            @SR
            Nessuno ti ha detto che con capisci un cazzo e il fatto di vantare un’esperienza diretta, non corrisponde al “lei non sa chi sono io”.

            Ti si è invece detto che il consiglio del brew pub è buono e giusto, ma non è sempre così semplici come vorresti farci credere. Ti si è fatto notare che il brew pub o meglio il pub è un’attività diversa, che richiede ulteriori ingenti investimenti ed un impegno lavorativo notevole.

            A questo ti si è aggiunto, un’esperienza diretta, nello specifico. Se permetti una cosa è viverle le situazioni, un’altra è il sentito dire o il riportato dai birrai che frequenti. Penso che su questo potresti essere anche d’accordo.

            Consigli di associarsi ad un publican per avere un punto vendita già in essere, citando il modello americano.

            Ti si è risposto che non è sbagliato, ma non è così semplice come vorresti farci credere. Sicuramente in certe zone d’Italia si trovano publican disponibili, in altre meno, l’Italia cambia molto da zona a zona, sia nelle mentalità, sia come sbocchi commerciali.

            Citare ad esempio la realtà USA e fuori luogo, non penso di doverti spiegare le enormi differenze, tra le due realtà e questo su tutti i punti di vista. Anche perché qui sei tu ad avere l’esperienza diretta ed io a parlare per sentito dire.

            Ciò che irrita e la facilità con la quale elargisci consigli, senza esperienza diretta alcuna, se non perché parli coi birrai, per cui sai. Mi ricordi mia cognata, se hai un qualsiasi problema, vai da lei e lei ti liquida con il consiglio del secolo.

            Ha la soluzione pronta per tutto. Salvo sparare tante di quelle stronzate da poterci fertilizzare il Sahara.

          • faccio anche io un ultimo disperato tentativo

            se ti prendessi magari la briga di leggere quello che ho scritto, in italiano mica in ostrogoto, leggeresti che:

            1. non ho detto che TUTTI devono aprire un brewpub, ho detto che il rapporto fra brewpub e birrifici “puri” è anomalmente sbilanciato rispetto ad altri paesi, soprattutto se consideri che quei paesi hanno un consumo pro-capite molto più alto e una quota di mercato dei micro che è circa 10 volte quella italiana. ERGO nella situazione attuale (ma anche in quella precedente) se uno riesce il modello brewpub è di gran lunga migliore. se poi uno si prendesse la briga di guardare ai pochi micro italiani che sono cresciuti in questi 10 anni e hanno fatto qualche soldo cosa scopri? ops… che quasi tutti hanno uno o più locali di riferimenti… che strano eh?

            2. non venendo dalla jungla lo so che sono due attività diverse infatti ho scritto, sempre molto chiaramente, che un birraio mica può fare anche il publican e che l’allargamento dei soci (di capitale e di lavoro) dovrebbe comprendere appunto una o più persone che si dedicano a questa attività, magari persone già del mestiere

            fai poi sommessamente notare che nei paesi avanzati il modello “cane da guardia” nei pub è stato sorpassato dai turni in modo da garantire una vita normale a tutti, compreso il titolare…

            3. con tutto il rispetto, il tuo caso personale che non conosco (non so manco chi sei) non può certo rappresentare un dogma per tutti. io faccio un ragionamento semplicissimo e di buon senso. per capirci: nell’area di San Diego attualmente ci sono circa 40 birrifici (area metropolitana paragonabile a Milano, forse inferiore). praticamente tutti hanno locale o taproom. secondo te se fossero tutti solo produzione starebbero in piedi?

            4. non ho detto che è semplice. non ho detto che tutti ci debbano riuscire. nemmeno pilotare un aereo è semplice, però quando vai in aereoporto qualcuno che lo sa fa lo trovi, certo ci vuole impegno. ora dimmi: posto che non è semplice, quanti quantomeno ci provano seriamente e quanti invece nemmeno ci hanno pensato? qua si parla di business, non di poesia, puoi essere il birraio più bravo del mondo, ma poi devi venderla e devi far quadrare i conti

            a me irrita la disonestà intellettuale (mi hai ripetuto la metà delle cose che ho scritto io 2 giorni fa) e la stupidità. figuriamoci se viene da un professionista. ognuno ha le sue da sopportare

          • Concludo anche io, dato che mi pare di aver suscitato dei dissapori.
            Ciò che ho detto non era certo per offendere, nè per mancare di rispetto. Quindi, SR, se ti sei sentito offeso dalle mie parole me ne scuso, non era certo il mio intento (non è nel mio stile sparare a zero da una tastiera).
            Ho solo espresso la mia opinione per dire che alcune delle scelte apparentemente razionali e ovvie che proponi si devono anche scontrare con la realtà soggettiva. C’è chi non ha volgia di lavorare la notte, o di essere socio di locali pubblici, o di avere 10 soci, o in generale di condurre un certo tipo di vita. La realtà non è sempre nera o bianca, ma spesso è piuttosto grigia.
            In un blog si cerca di dialogare. Se tra le righe hai letto “non capisci un cazzo” vuol dire che o dovresti leggere con più attenzione o dovresti essere più aperto alle discussioni.
            La mia battuta sul ROE era un modo ironico per farti capire che stavi elargendo consigli su tutto, eccedendo un pò nella “tuttologia”.
            Non te la prendere suvvia…

          • ma figurati, nessuna offesa

            peraltro mi pare che da due punti differenti stiamo dicendo la stessa cosa

          • Al di là di considerazioni o meno sull’opportunità e convenienza di aprire un brewpub, devo dire che SR ha perfettamente ragione.
            La mancanza di tali locali è indice di un mercato poco maturo, che tende al facile ed immediato guadagno e non all’investimento e/o al futuro.

          • Vedi che il tentativo è andato a buon fine, il tuo consiglio era giusto e continua ad esserlo, però ora precisi che non è facile e che sono attività diverse. E’ un po diverso dal come l’avevi prospettato inizialmente. Quoto Andrea.

          • Roberto, il mio tentativo invece è miseramente fallito perché nonostante il mio caldo invito a leggere con attenzione quanto è stato scritto oramai 5 giorni fa dal sottoscritto siamo ancora allo stesso punto

            ne riparliamo quando ha dato una rinfrescata alla tua reading comprehension

            alla prossima

          • Non ti ho mai dato torto, t’ho so suggerito d’aggiustare il tiro e non ero il solo, cosa che dopo vari post hai fatto, dandoci così ragione, ma bada bene senza ammettere esplicitamente l’errore, dopodiché t’abbiamo dato pure ragione.

            Ora mi dici che non so leggere, dopo che tu hai letto, non so dove, che non capisci niente. Oltre ad avermi dato del frescone e del genio della distribuzione. Comincio a pensare davvero che tu ti diverta così, quello che per te è un divertimento per me, come per altri, è oltre ad una passione, una fonte di sostentamento.

            Continua a divertirti e noi continueremo a trovare soluzioni, tecnico commerciali, per diffondere birra di qualità nel nostro paese, investendo soldi e risorse, in ciò in cui noi crediamo, così gente come te, potrà continuare a criticarci ed a suggerirci facili soluzioni, da dietro la scrivania di un ufficio.

          • veramente sono 5 giorni che ti ripeto le stesse identiche cose, ma se ti dà sollievo pensare che ti ho dato ragione non sarò certo io a toglierti questo piacere. credici

          • Infatti sono cinque giorni che ti rispondo, t’invito quindi a rileggerteli i tuoi post, perché mi sa tanto che tu che dici che non so leggere, leggi consiglio, invece di opinione, Germania invece di estero, non capisci niente, invece di non è così semplice, lei non sa chi sono io, invece di 30 anni nel settore. In pratica fai tutto da solo. One men show.

        • Sono daccordo sul discorso del brew-pub, perchè vendere direttamente dà una bella spinta. Io sono partito quest’anno ma il brew pub è, dalla fine degli anni ’90 un vecchio pallino, cmq credo che le cifre siano abbastanza attendibili. Bisogna anche considerare che poi ci sono molti locali che cmq continuano e continueranno a vendere birra industriale pura, Heineken su tutte, poi Paulaner, Peroni, Moretti, Carlsberg ecc. perchè col prezzo, lì, non si compete e per il commerciante a parità di prezzo di vendita, triplica il margine…poi vallo a spiegare ai clienti!!!

  2. Mi permetto.
    Due punti non considerati.
    1 L’ampio margine di mercato che le birre artigianali possono ” soffiare ” alle birre industriali.

    2 Il margine;I birrifici che operano direttamente nelle feste di paese hanno un margine che sfiora il 500%,le quantità saranno anche minime ma produrre 200 ettolitri con questi ricavi permette di esistere.

    • Ho evitato di entrare nel discorso del valore del mercato. 320 hl l’anno sono pochi in senso assoluto, indipendentemente dal loro valore.

      • Non era una critica nei confronti tuoi o dell’articolo,era una considerazione del fatto che molti di quelli che intraprendono questa strada lo fanno per coronare un sogno e si accontentano di vivere senza considerarsi veri e propri imprenditori.
        Ti assicuro che con 320 hl e una gestione oculata si può mantenere una famiglia,ma su questo credo che tu sia d’accordo.

  3. la 1 e la 4

    4. il numero di “microbirrifici” considerato include le beer firm che non hanno una produzione propria, dunque, servendosi dei birrifici, ne vanno ad aumentare la produzione procapite a cui si può “aspirare”

    • Scusa Giuseppe ma forse non ho capito ciò che intendi. Se un birrificio produce x hl birra, li produce sia che siano venduti da lui che da altro marchio

      • Scusami se non sono stato chiaro.
        Se conti 100 litri per 100 birrifici(incluse le beer firm) = 1 litro, se invece conti che in realtà ci sono solo 60 birrifici avrai 100 litri per 60 birrifici, dunque la produzione (che viene fatta solo dai birrifici e non dai beer firm) è di 1,6 litri a testa

          • scusa ma se si consumano 100 litri, chi li deve produrre? (i beer firm non producono)

            se dici che si può aspirare a 320hl/anno dovresti riferirti non solo ai birrifici (come nel titolo)

          • Sì infatti mi riferisco a tutti, birrifici e beer firm. Il titolo era una semplificazione del concetto

          • Non é semplificare ma confondere un birrificio con una beer firm. L’aumento del numero di beer firm non mina il mercato dei birrifici perché il beer firm non produce. Quindi per ogni beer firm che vende c’è più spazio per un birrificio che produce e che vende tramite le beer firm

            Resta il fatto che considero dal primo post la 1 come plausibile, ma tanto io mi accontento della mia birretta fatta in casa

          • Più che altro il punto sono i consumi reali al dettaglio. Secondo me molti birrifici italiani hanno un sacco di invenduto. Poi se lo scopo è “smerciare” tutto ai distributori, è una strategia che non può avere lungo termine.

          • In realtà uno dei problemi storici del movimento (ormai in parte superato) sono le cantine vuote. Certo al tempo i birrifici erano almeno la metà.

          • le cantine dei produttori o degli acquirenti?
            Il problema attuale sono le cantine dei beershop e negozi piene. Problema che si supera vendendo solo pseudo IPA o dirottando la produzione verso i fusti.

          • Dei produttori ovviamente. Se le loro sono vuote e quelle dei beershop piene, c’è qualcuno nella filiera che sta sbagliando i calcoli…

  4. ultimo rapporto Prometeia ottobre 2013 segmanto mercato artigianali oggi intorno al 7%…i numeri sono sbagliati…inoltre previsione di crescita sulle specialty (le artigianali) tanto che l’industria si sta rivolgendo a tale produzione (es. Dolomiti di Pedavena et 7 luppoli non filtrata di Poretti) anche le previsioi sono sbagliate….e comunque chiunque pretenda di dire come andrà il mercato a lungo termine o è un’indovino o un venditore di fumo…

    • Ciao Elena, felice di sapere che per il rapporto Prometeia il nostro settore artigianale è paragonabile (anzi superiore) a quello USA per penetrazione. Ora puoi darmi maggiori informazioni su questo rapporto Prometeia e sull’azienda che lo pubblica? Grazie

      • che specialty valga il 7% a valore ci può anche stare, solo che le specialty non sono solo le birre dei Birrifici Artigianali Italiani… ma anche Leffe, Desperados, Guiness etc. considerate che Inbev da sola fra Franziskaner, Leffe e tutto il loro portafoglio fa 7% di quota di cui 5% di becks ergo 2% di specialità a volume.. il ragionamento di Andrea non fa’ (purtroppo) tanta acqua..

        • Sì infatti credo che quei mirabolanti dati si riferiscano al gruppo specialty, composto esattamente come spieghi e che ha poco o nulla a che fare con i micro

  5. E’ una bolla che scoppierà presto perciò il punto 1.
    Qui aprono birrifici a fiotte, come se fosse obbligatorio dopo pochi anni di birra fatta in casa o cose simili. Oppure imprenditori che non sanno nulla e si affidano a birrai fatti in casa che hanno un sogno ma che non sanno fare la birra.
    Birrifici e beerfirm sono due facce della stessa medaglia.
    Gli uni aprono senza avere dei veri canali di vendite o consumi da brewpub, gli altri (beerfirm) sfruttano le falle imprenditoriali dei primi che, non producendo abbastanza cercano soldi freschi derivanti da cotte vendute “tutte e subito” ad un prezzo comunque basso.
    Così i sognatori delle beerfirm credono di essere imprenditori e birrai, e non sono ne’ l’uno ne’ l’altro.
    Insomma, è un sistema fallato da ogni punto di vista, a parte i grandi della birra artigianale italiana.
    Come fanno birrifici e beerfirm a sostenere il peso delle tasse con questi numeri?
    E poi leggi sempre le solite interviste condite di passione e amore per la birra.
    Provate ad andare a pagare le bollette con la passione e con l’amore…
    A parte i grossi birrifici artigianali, ne rimarranno ben pochi se le cose continuano a stare così.

    ciao ciao

    P.

    • … l’ultima frase l’ho già sentita nel mio settore circa 8 anni fa quando in un mercato già saturo mi sono ricavato la mia fetta di clientela… … … risultato attuale è che i grossi stanno facendo fatica e stanno mettendo gli operai in cassaintegrazione… io speriamo che me la cavo…

  6. Io sono ottimista (e devo esserlo per forza perché progetto di aprire tra un anno, dopo 10 anni di dedizione 🙂 )

    1 – La crescita dei birrifici non trainerà i consumi di birra in generale, ma trainerà la percentuale di birra artigianale. L’1% è pochissimo, l’Italia ha il record di percentuale di consumo artigianale in molti settori alimentari, ora che abbiamo scoperto la birra credo ci si possa aspettare una crescita fino anche al 5% – 10%.

    2 – Al confronto con i grandi paesi della birra, il numero dei nostri birrifici resta piccolo. Quindi se il movimento della birra artigianale italiana (possibilmente marciando unito e smettendola con la lotta fra parrocchie) riuscisse a portarci nell’olimpo dei “grandi paesi brassicoli”, c’è da aspettarsi che potremo sostenere lo stesso numero di birrifici.

    3 – i brewpub sono un capitolo a se. Città come Roma e Milano possono sostenerne, a mio parere, alcune decine ciascuna (facendo anche qui il confronto con Belgio, Inghilterra,..). Per le micro la concorrenza si farà dura, speriamo favorisca la qualità più che il marketing.

    4 – Finalmente finirà l’equazione birra artigianale = wow, che figata! . Forse gli italiani sapranno finalmente discernere fra birre artigianali schifose e birre buone.

    La domanda interessante secondo me è: in uno scenario di competizione molto più dura, sarà la qualità a determinare chi avrà successo e chi chiuderà battenti, o conterà solo l’anzianità (gli ultimi arrivati finiscono male)?

    • Innanzitutto in bocca al lupo Biffero, eri uno dei pochi della vecchia guardia ancora senza birrificio 😛

      Sulla tua domanda finale, secondo me la qualità conterrà sempre molto, ma avrà pari se non valore superiore la capacità imprenditoriale, che significa pianificazione, marketing, capacità commerciali.

      • secondo me conterà non poco anche l’anzianità

        anzianità = ammortamento avanzato e ampliamento effettuato = prezzi più competitivi

        non tutti possono partire con le spalle così grosse da essere già al livello di prezzi, di cash flow, di produzione di alcuni storici e di posizionamento commerciale di alcuni storici

        l’attuale situazione vede alcuni birrifici storici, quelli imprenditorialmente più attrezzati, che sono cresciuti parecchio ma non in maniera paragonabile a un vero big. la loro scelta, visto che la domanda satura comunque la loro aumentata capacità produttiva, è stata quella di mantenere un livello di prezzi “standard”, rientrare in tranquillità degli investimenti, avere cash flow e generare utili (se non subito, a breve). non c’è interesse a fare la guerra dei prezzi, e cmq già qualche segnale di difficoltà sul mercato si è visto per chi ha voluto essere “aggressivo”. nel momento in cui qualcuno dovesse crescere ancora in maniera significativa e si dovesse verificare una contrazione dei consumi tale da non saturare le capacità produttive, la concorrenza sul prezzo porterebbe tanta difficoltà ai più piccoli…

        @biffero

        fai il brewpub? mi pare la soluzione più sensata. penso che il 95% dei produttori americani sia partito e abbia tuttora un brewpub, solo in Italia tutti vogliono fare la birra e nessuno pensa al canale di vendita più sicuro e remunerativo…

        • @SR scusa non avevo visto la tua domanda. Si..diciamo di si, cerco di fare una cosa un po’ nuova, si vedrà. Adesso mi taccio che non voglio sfruttare la notorietà del blog per farmi pubblicità nei commenti… sono intervenuto perché il tema mi tocca molto. E mi interessa molto anche a livello generale.

      • Grazie, mi lusinga sempre essere riabilitato nella vecchia guardia dopo anni di sparizione (dal punto di vista social, perché in realtà ho continuato a dedicarmi ancora più assiduamente). Seguo il blog comunque… e sei nella lista delle persone cui sarò lieto di recapitare alcune anteprime 🙂

      • @Andrea Turco sono daccordo con te, se uno parte domani ed è un gangster della vendita, non c’è anzianità che tenga, vedasi le squadre di calcio, storiche società fallite e new entri tipo Sassuolo o Chievo!! Io sono un beer-firm che si sta attivando per partire col birrificio però, come ho già scritto in un altro post sopra, il mio sogno primordiale è il brew-pub poi micro!!! Cmq i numeri sono un pò inquietanti!! 😉

  7. Se il dato complessivo degli ettolitri prodotti risale al 2012, bisogna prendere il numero di microbirrifici al 2012 e non il numero attuale, visto che siamo a fine 2013 e i microbirrifici spuntano ancora come funghi.
    In ogni modo credo che la media sia falsata dalle beerfirm e dai birrifici agricoli che in molti casi hanno produzioni quasi insignificanti.

  8. 350.000hl per 407 birrifici con impianto produttivo nel 2012. ergo 2,8% del mercato e 860hl per capita commercializzati in Italia (ovvero escludendo l’export difficile da calcolare); sono dati spannometrici estrapolati dall’AR di Assobirra.

  9. Ciao Andrea, nel mio piccolo credo che la cosa migliore sia ricercare un mix fra i tuoi tre punti:

    -di certo una quota di mercato del’1% è poco verosimile, fosse reale vorrebbe dire che oltre il 60% dei microbirrifici sta lavorando in perdita o producendo birra che non vende, ma io ne conosco pochi di birrifici con i magazzini pieni, anzi. Inoltre bisognerebbe capire la marginalità per ogni litro prodotto, considerando questa è altamente probabile che anche con una bassa quota di mercato tutti guadagnano abbastanza per poter andare avanti.

    -L’unico modo di confutare i 320hl annui sarebbe quella di verificare l’effettiva capacità produttiva dei microbirrifici, su questo credo ci sia una grossa parte di noi che neppure arriva a questa cifra, pensa ad esempio ad alcuni microbirrifici che vendono in un raggio di 180km, quindi con un mercato consolidato, ma piccolissimo, questo dovrebbe valere per almeno un 30% degli attuali microbirrifici.

    -dal punto di vista prospettico, sono d’accordo con te sul fatto che vivremo una grande moria delle vacche (come voi ben sapete), ma la discriminante sarà più che sulla dimensione (in parte molti sono ancora sul mercato perché sono talmente piccoli e a conduzione familiare da avere bassissimi costi fissi), sulla qualità delle birre prodotte. Anche perché i consumatori sono sempre più esigenti e competenti, per fortuna aggiungerei. Non saprei dare una percentuale, ma un range del 20-30% credo sia fattibile.

    -sempre dal punto di vista prospettico credo che dobbiamo aspettarci un incremento della quota di mercato, siamo sempre sotto la doppia cifra, quindi margini ce ne sono. Sarebbe interessante capire come sarà spartita questa quota fra i piccoli e i grandi. Questo dipenderà molto, come tu hai detto, dall’idea imprenditoriale che sta dietro ogni birrificio, e su questo punto solo chi vivrà vedrà (oh, io spero di vedere!)

    Non so se ho dato un contributo o solo vaneggiato.

    By the way, ti devo ringraziare per questa discussione, proprio in virtù di alcuni cambiamenti che il mio birrificio sta vivendo. Se ti può essere di interesse mi hai spinto ancora di più ad andare avanti.

    • Beh forse sì 🙂 a meno che tu non mi garantisca che quei volumi vi bastano per prosperare e crescere. Cosa che rivoluzionerebbe le mie credenze sulla birra artigianale, ma sono pronto a ricredermi

  10. Cosi a spanne anche a me l’1% sembra un numero un pò datato. Quanto meno per quella che è la mia esperienza di questi 4 anni il consumo mi sembra sia aumentato veramente molto. Occhio però che sto parlando della realtà in cui vivo, Roma, dove sò che c’è stato un bumm che non c’è stato in altre parti d’Italia.
    Ciò detto tuttavia, anch’io credo (purtroppo) che si tratti solo di una bolla destinata ad esplodere.

  11. Possiamo fare da testimonial alla campagna: NON APRITE UN BIRRIFICIO DA 1/2 hl a cotta 😉 lavoriamo per raggiungere le cifre di media citate nel tuo articolo. Quando capiti nel sud sardegna, vieni a farci visita e scoprirai la nicchia della nicchia!

  12. Vorrei dire la mia con una certa autorevolezza, visto che personalmente rappresento (secondo i calcoli utilizzati) da solo lo 0,000006% del consumo di artigianali in italia, almeno! 😉

    Dunque,

    a mio modo di vedere è auspicabile un’ opzione 3, in quanto in Italia la cultura birraria è ancora ai primordi, il potenziale di crescita della “consapevolizzazione” e dei consumi è immenso. (in Germania, nazione non credo molto più vasta del nostro stivale e in periodo di crisi dei consumi, convivono oggi più di 1000 birrifici, se non erro)

    D’altra parte, l’opzione 1 potrebbe essere più realistica se i costi della birra artigianale al dettaglio non scenderanno; oggi si pagano prezzi troppo troppo alti, soprattutto per il vetro, per poter alimentare la voglia di consumo artigianale dei tanti che non sono puri appassionati ma semplici “simpatizzanti”.
    Per colpa delle tasse? E chi lo sa, io non ho mai visto un conto economico di un birrificio. Voi?

    • “i costi della birra artigianale al dettaglio non scenderanno; oggi si pagano prezzi troppo troppo alti, soprattutto per il vetro, per poter alimentare la voglia di con”

      In Germania, che tu citi, infatti non sono così attenti al vetro figo come da Noi.
      A molti birrifici artigianali nostrani interessa più un bel vetro ed un etichetta figa che non il pis…ehm…… la birra poco buona che ci mettono dentro…

  13. Io personalmente credo che quello della birra sia un mercato esattamente uguale a quello di altri settori merceologici. Oggi come oggi, a meno che non hai la “fortuna” di avere un impiego fisso o di lavorare in un settore con numero per legge limitato di soggetti operanti (notaio ad esempio…), andrai sempre e comunque incontro a una forte e massiccia concorrenza, spesso non solo limitata al territorio in cui si lavora o all’Italia. Per cui in qualsiasi cosa ci si butti ci saranno sempre e in altre forme quei 320hl di tetto massimo, con forse la differenza che per quanto riguarda la birra artigianale si parla di un comparto (si spera) in lenta ma continua crescita. Poi ovviamente in molti falliranno, alcuni sopravviveranno e pochi si arricchiranno. Ma personalmente credo che chi abbia competenze, voglia e possibilità di buttarsi in questo campo, faccia bene a farlo, soprattutto se di altre possibilità lavorative non ne vede all’orizzonte…

  14. Ma..io avevo fatto poco tempo fa altre considerazioni per la mia guida (copio/incollo)

    se calcoliamo l’1,5% dei consumi nazionali otteniamo 270.000 hl che, suddivisi per le 400 piccole unità produttive, danno una media di 675hl (valore puramente matematico e non verificabile con facilità, più correttamente si può ipotizzare un range tra i 400 e i 750hl annui). Ovviamente vi sono brewpub (ovvero pub con produzione interna), che realizzano pochi hl annui e micro più importanti da oltre 10.000hl

    Aumentando i birrifici (o meglio le “etichette”) deve giocoforza aumentare la quota di mercato. Se la fetta si fosse fermata all’ 1,5% avremmo la stessa torta con fette sempre più piccole. Per avere statistiche corrette occorrerebbe avere accesso ai dati dall’agenzia della dogane e, secondo me, avremmo delle belle sorprese.

    • Allora, facendo calcoli e analizzando meglio l’Annual Report, probabilmente la quota di mercato è oltre il 2% e la media di consumo per birrificio è più vicina alle tue cifre che alle mie (quindi diciamo +100%). Il problema è che anche così il discorso cambia poco, soprattutto se consideriamo che pochi micro grandi sembrano lasciare le briciole alla stragrande maggioranza degli altri.

      • sostituisce “deve” con dovrebbe” e probabilmente il concetto diventa subito più chiaro.
        Per riassumere all’aumento dell’offerta di un prodotto (e nel caso della birra la crescita è esponenziale) deve crescere la domanda, se la domanda non cresce il mercato non matura e collassa su se stesso. In questo momento direi che la domanda cresce, ma non sarà cosi per sempre. (per fare un esempio pensa a cosa è successo alle radiolibere che nel giro di 30 anni sono passate da Business per molti a business (grosso) per pochissimi)

        • Credo che sia pacifico affermare che la domanda al momento sta crescendo. Il vero punto è capire se sta crescendo allo stesso ritmo della nascita di nuovi birrifici. Cioè se la crescita della domanda è abbastanza repentina per sostenere tutto il settore.

          • Infatti, è la velocità diversa di questi due fenomeni quella che non darei così per certa. Molta gente si stufa del marasma e si butta sui migliori micro che trova più facilmente ed a cui ci si affeziona.

          • La domanda sta crescendo ma, ci sono altre 2 problematiche: le miriadi di feste di paese-birra dove entrare è quasi impossibile ed il fatto che molti locali, anzi la maggioranza sono legati ( soprattutto con la spina ) ai distributori!! Quindi: meglio perdere il 30 – 35% ed appoggiarsi a loro o insistere per entrare e vendere direttamente, avendo si più margine e quindi lavorando meno, ma dovendo fare una cernita tra i locali e feste di proporzioni epiche?? Ai posteri l’ardua sentenza!!

  15. direi che , parafrasando un vecchio detto commerciale, il 20% dei birrifici produce l’80% del totale, lasciando al rimanente 80% solo il 20% (ovvero le briciole). Se in questo ragionamento (da osteria o meglio da Pub!) ci mettiamo nel 20% dei produttori le industrie (compresi Amarcord, Theresanier, Whurer, Baladin, Birra del Borgo ecc ecc) restano comunque 3.600.000 hl da dividersi tra il restante 80% di “piccolini”. Sono numeri da far girare la testa!!
    Sto barando!!! magari ci fossero 1000 birrifici da 3600 Hl cadauno!! L’industria non lo permetterà mai!…ma guardando agli Usa e alla Germania, un cauto ottimismo ci puo’ stare.

  16. Pure a me l’1% pare decisamente poco, ma ciò non toglie che sicuramente ci sono più birrifici ( o aziende birraie se contiamo le numerosissime beerfirm) di quanto il mercato realmente necessiti…..sono sempre contento quando vedo una persona che si è fatta anni ed anni di gavetta con passione e sacrificio fa il grande passo, ma tanti aprono spuntando come funghi con magari neanche un anno di cotte alle spalle ( e magari neanche in AG) perchè adesso è l’ultima frontiera degli hipster e dei fighetti….quando un fenomeno è di moda insieme a tanti professionisti spuntano anche i cialtroni e gl improvvisati. Poi vabbè realisticamente penso che tanto ci penserà il mercato a stroncare gli incompetenti con le dure ma giuste leggi dell’economia. Dall’altro canto a mio avviso l’aumento della competività e della concorrenza ha spinto i grandi e vecchi nomi a non adagiarsi e a cercare comunque di stare al passo…

    • Il problema è che il mercato premia le capacità imprenditoriali e non le qualità organolettiche del prodotto. Poi certo, la qualità è uno degli elementi del successo, ma solo uno (e nemmeno il più importante purtroppo). Due esempi:

      – GROM: buono? va bene buono… ma di certo ci sono infinite gelaterie e botteghe artigianali migliori.. eppure non hanno sfondato in quel modo (forse neppure se lo ponevano come obbiettivo).

      – BREWDOG: dismettendo tutti i panni dei talebani possiamo convenire che la punk ipa è ok, ma 9 birre su 10 sono mediocri. Nel panorama UK in cui si collocano nessuna delle loro birre entra in una top 100, i più severi diranno neanche top 1000. Eppure onore al merito..in fatto di marketing eh!

      ah.. e le strategie di fund raising fanno parte delle capacità imprenditoriali, quindi il fatto che brewdog sia partito con un investimento pesante convincendo migliaia di poser (perché questo sono gli amanti di brew dog) a pagare le “equity for punk”, è comunque abilità di marketing, non un privilegio immeritato.

  17. Secondo me ad aggravare la situazione -in prospettiva- per i birrifici italiani sono i prezzi folli che esercitano per rimanere nel mercato. Birrifici statunitensi e inglesi (per non parlare dei tedeschi…) hanno prezzi molto più bassi nei loro rispettivi mercati. Alla lunga questo influirà sul mercato: non sono molti che sono disposti a spendere 4 euro a bottiglia da 33cl per una birra, o magari lo fanno solo una volta per provarla. Io son un amante della birra artigianale ma non compro molta birra italiana a causa dei prezzi alti. Ora i birrifici tedeschi stanno cominciando a sperimentare altri stili (con ottimi risultati) e suppongo che a breve ci arriveranno quantità siderali di ipa tedesche ad un prezzo che potrebbe affossare molti dei nostri cari (nel senso di dispendiosi) birrifici italiani.

    • Anche perchè, come do detto prima, magari i tedeschi badano più alla qualità del contenuto piuttosto che alla “figaggine” del packaging…
      Comunque ben venga anche questa invasione teutonica (speriamo non a scapito degli stili tradizionali…), vorrà dire che comprerò buona birra tedesca a prezzo + umano. Non vedo il motivo per cui debba comprare a prezzo + alto solo perchè italiana. Del resto i birrifici non sono delle ONLUS ma imprese a scopo di lucro…

      • Guardavo: il birrificio del Ducato ha aperto uno shop online. Vendono la confezione di 4 bottiglie da 33cl a 21 euro + spese di trasporto. Folle: prevedo una certa inoperatività di questo shop online, pur essendo personalmente un estimatore di tali birre.

  18. Per esperienza diretta posso dirvi che molti imprenditori di “altri” settori si sono buttati sulla birra artigianale a volte in maniera “studiata”, a volte in maniera scriteriata, perchè avevano capitali da investire/diversificare e perchè magari il momento di crisi non premiava una liquidità parcheggiata in altri modi.
    Io credo che almeno un terzo dei micr in Italia sia destinato a chiudere nei prossimi due anni.

  19. Come evidenziato da Lelio, il problema non è quanti hl resteranno ai nuovi nati, ma la bassa penetrazione nel mercato totale della birra, da parte delle realtà artigianali.

    Dopo 18 anni di movimento, questa percentuale è ancora bassa ed i motivi sono evidenti:

    prezzi troppo alti

    costanza qualitativa inesistente

    packaging e formati poco birrari

    birre troppo di nicchia: mosto di vino, tabacco, ingredienti x vari, che non incontrano il gusto di massa

    distribuzione non diretta e logistica dispersiva

    mancanza di una politica d’espansione comune

    ecc.

    Come si può pretendere che il consumatore medio si sposti sul prodotto artigianale, se lo stesso implica tutti questi fattori negativi?

    Il problema è che il modello di birrificio Italiano, che si è sviluppato in questi anni, è discutibile e sicuramente migliorabile e che i birrifici sembrano l’uno la fotocopia dell’altro.

    Parlo come contitolare di una beer firm e credo di aver risolto alcuni di questi problemi con un approccio totalmente diverso da quello tipico adottato generalmente dai produttori Italiani.

    I prezzi sono alti perché le produzioni non sono ottimizzate, è possibile risparmiare parecchio, ottimizzando l’impiego di acqua, energia e materie prime. Ma servono le competenze.

    Le produzioni sono incostanti, perché chi produce ha delle lacune tecniche e ci si affida a metodi produttivi, come il priming in bottiglia, ma anche altri, totalmente inaffidabili.

    Bottiglie da 0,75, che sembrano vini pregiati, con etichette discutibili e capsule da vino.

    Le tipologie prodotte sono, generalizzando, sempre le stesse: ale, belgian ale, strong ale, blond ale, stout, ecc. Quando è un dato di fatto che per ogni ale venduta, si vendono minimo 5 lager, ma fai anche 10. Solo che gli artigianali Italiani, in genere, non le sanno fare. Questo non vuol dire che bisognerebbe produrre solo basse, ma che almeno non si speri di fare delle birre troppo complesse e difficili da bere, il proprio cavallo di battaglia.

    Fare birre “strane” implica che per fare un minimo di volumi, bisogna ampliare il raggio di vendita, con tutte le problematiche che ne conseguono:
    distribuzione esterna, periodicità e veloce rotazione nelle rivendite specializzate, costi dei trasporti ingenti, difficoltà di conservazione e feedback lunghi. Quando invece il guadagno sta nella distribuzione più che nella produzione. E per vendere i volumi medi prodotti dai micro Italiani si potrebbe operare nei confini regionali, a vantaggio del contenimento dei costi e della cura del prodotto.

    Concorderete con me che se un artigiano uscisse con prezzi più simili alle industriali, con packaging curati, con distribuzione diretta, produzione ottimizzata e qualità costante, avrebbe realmente la possibilità di prendersi quote di mercato, che con le problematiche illustrate sopra, non è possibile ottenere. Le stesse che relegano la birra artigianale italiana a prodotto di nicchia, pregiatissimo, ma per pochi.

    • adesso almeno dicci quale sarebbe questa rivoluzionaria beer firm da cui dovremmo tutti imparare 🙂

      senza polemica eh, in realtà condivido il 75% di quello che hai scritto.

      • Come non vuoi spammare tu, non voglio farlo nemmeno io. Come dici tu la nostra idea è abbastanza rivoluzionaria, produciamo all’estero, dove hanno una malteria propria, tramite nostro mastro birraio e su nostra ricetta, proponiamo 6 tipologie tutte bassa. Non ci rivolgiamo ai canali specializzati della birra artigianale, ma puntiamo al restante 98 0 99% del mercato. Per qualità e prezzo siamo competitivi con i grossi.

        Abbiamo recentemente sponsorizzato un evento sportivo che ci ha dato una discreta visibilità.

          • Posso capire che tu sia di avviso contrario, visto le birre che produci e sopratutto i prezzi alle quali le proponi. Sicuramente avrai le tue ragioni e sarebbe anche interessante capire il tuo punto di vista.

            Evidentemente ci tieni a mantenere la birra artigianale, almeno la tua, un prodotto di nicchia destinato a pochi. Ne potrebbe nascere una discussione interessante, utile a tutti per avere punti di vista diametralmente opposti.

            Bisognerebbe però che illustrassi il tuo punto di vista, perché scrivere mucala qui, non è utile a nessuno. Magari hai pure ragione, ma se non ci spieghi la tua verità, ci releghi per sempre nell’oblio. Dai cunta su, cunta su.

          • Beh, ci ho provato, almeno possiamo scartare un nome.
            Comunque ero davvero interessato perché a me come filosofia piace, da quello che mi pare di aver capito dai vari post.

          • E meno male, dopo aver letto, che chi adotta la nostra soluzione fallisce, che ho sbagliato blog perché qui si parla di qualità, di aver inteso la nostra soluzione, come suggerimento a chi vuol avviare una produzione, d’aver confuso l’estero con la Germania, di essermi preso del frescone e del genio della distribuzione e di quello che non sa leggere l’italiano, finalmente a qualcuno piace qualcosa di quello che ho scritto!!!

            GRAZIE.

        • quindi la tua soluzione per l’espansione birraria italiano è chiudere tutta la produzione nazionale e trasferirla all’estero e/o fare brewfirm con aziende estere

          tutto lecito

          ma se non te ne sei ancora accorto, il post parla dei micro italiani, non tedeschi

          • Il mio non era un consiglio, illustravo invece il mio punto di vista e la soluzione da noi adottata. Anche io non scrivo in ostrogoto, ma in Italiano e non ho mai parlato ne di soluzioni, ne di Germania. E mi rendo benissimo conto che la nostra soluzione non è ne adottabile, ne auspicabile,da tutti.

            Tant’è che nel progetto, lo step 2 è rappresentato dall’apertura di un micro birrificio in Italia, che non sostituirà la beer firm, ma l’affiancherà con una produzione del tutto propria.

            Questa ricalcherà però la filosofia adottata con la beer firm, sia come tipologie prodotte, sia con i punti fermi dei prezzi bassi, molto inferiori rispetto a quelli a cui si è abituati e staccandosi dall’influenza enologica, che purtroppo nel nostro paese, che è quello del vino, ha sulla birra artigianale.

            Quindi formati birrari, anche innovativi e assenza di birre che richiedono ingredienti esotici o palati particolari. Oltre all’adozione di tecniche produttive e conservative, sicure ed applicate da professionisti, che ci scongiura dai problemi tipici dei micro Italiani, tipo l’incostanza delle produzioni, lotti fallati, cambi di ricetta o cose simili.

            Con lo scopo di uscire dalla nicchia attuale, aumentandone la diffusione e sempre riferendosi non solo a quel 1/2% attuale, ma al restante 99/98%.

            Questo si ottiene anche con materie prime selezionate ed importate direttamente, togliendosi dal duopolio attuale vigente in Italia e sopratutto con produzioni ottimizzate a livello energetico e logistico, cosa poco praticata dai micro Italiani.

        • ….scusa Roberto, ma l’idea rivoluzionaria sarebbe fare una Beerfirm che produce in Germania birra industriale?…….

          …..e utilizzare i canali di vendita dei “bibitari”?

          …..forse hai sbagliato blog, noi parliamo di birra artigianale di qualità…..

          • Io direi che il problema dovrebbe essere parlare di “birra di qualità”

            ‘sto “artigianale” è diventato davvero relativo.

          • Io parlo di estero, l’estero non è solo la Germania. Se per bibitari intendi i distributori di birra, t’informo che molti birrifici usufruiscono di quel canale di vendita, cosa che non esclude la distribuzione diretta nelle zone limitrofi alla nostra sede in Italia.

            Cosa ti fa pesare che la birra prodotta all’estero, sia inferiore qualitativamente a quella prodotta in Italia?

            Da quando l’Italia deterrebbe il prima in qualità della birra? A livello qualitativo t’assicuro che la birra da noi prodotta è superiore alla media delle produzioni artigianali Italiane nelle tipologie da noi prodotte.

            Niente di rivoluzionario nella nostra idea, visto che ci sono altre realtà Italiane che da anni praticano questa strada e con un discreto successo, anche se il Carilli da tutti per falliti.

            Vedi che non ho sbagliato blog, forse tu hai sbagliato nel supporne la provenienza e la scarsa qualità.

  20. Che il segmento di consumo di birra (artigianale e non) sia destinato a crescere è fuori discussione: le abitudini e i costumi stanno progressivamente cambiando. Quando la contrazione dei consumi nell’agroalimentare avrà mollato la presa e le giovani generazioni avranno un reddito decente assisteremo sicuramente a dei cambiamenti nel settore. Se guardiamo al trend degli USA ad oggi la birra artigianale potrebbe essere in Italia attorno al 3-4%: dato che non sembra eccessivo.
    La bilancia aperture/chiusure di microbirrifici è destinata a cambiare e in questo mi trovo d’accordo con numerosi interventi. Non credo che sia l’anzianità a farla da padrone ma la capacità di rendere meno “artigianale” gli aspetti gestionali e comemrciali dell’attività. Appoggio Luigi quando segnala che il vero “mostro” può essere rappresentato proprio dall’artigianale a stelle e strisce che cresce a ritmi vertiginosi e a prezzi di mercato ipercompetitivi.

  21. ……stavo raginando con un amico che forse i dati di consumo/produzione sono stati calcolati con gli ettogradi (HL prodotti * °P) diviso un valore medio di °P iniziale…..

    ora visto che l’industria produce ad un plato di 12-12,5 va da se che la media sia 12.5…ma i micro, ad andare a leggere “al volo” le medie delle birre prodotte, dovrebbero attestarsi come media almeno sui 14.5 plato…..

    ….o no? 🙂

  22. Ciao roberto, una curiosità:il birrificio che avete intenzione di aprire che capacità produttiva avrà?
    Ho letto su quanto costa un litro di birra finita (lelio) tra l’altro scoprendo cose che non. sapevo non essendo del mestiere
    Ora leggo le tue parole e mi hai incuriosito
    Ciao

    • A business plan abbiamo calcolato una capacità produttiva di 1080 hl/anno. Ottimizzando la produzione, cioè recuperando acqua, detergenti ed energia ed includendo materie prime, detergenti, energia, manodopera costituita da una mastro birraio proveniente dall’estero, articoli promozionali, accisa, trasporto materie prime e costi di consegna, avremo un costo medio al litro del prodotto finito in fusto di € 1,10.

      Si potrebbe scendere ulteriormente recuperando l’anidride carbonica e con il fotovoltaico, che però inizialmente non avremo.

      • Leggendo le tue risposte caro Roberto mi rendo conto che pur facendo questo lavoro da tanti anni, pare proprio che non ci abbia capito na mazza!!!!!!!!!!! Io penso che ognuno abbia il diritto di esprimere le proprie opinioni che poi siano suffragati da fatti comprovati è un altra cosa!! Ed è per questo che mi sono divertito a leggere tutti i commenti e vedo che un po tutti formulano teoremi ma nessuno poi fa la dimostrazione con numeri alla mano e fatti avvenuti! Cari signori ciò che fanno vere le vostre teorie sono i fatti i numeri e no le fantasie!!!

  23. se posso esprimere la mia, da semplice homebrewer appassionato del settore.
    Esiste solo un modo per far si che il mercato della buona birra cresca e restino in piedi tutte queste piccole realta brassicole :
    ripresa economica first e più soldiini per bere !!!
    nuova politica e burocrazia semplificata
    eventi ed ancora eventi ( e si sta muovendo bene )
    cultura e cultura ( c’e molto da fare ancora )
    aprire nuove realta, finche il popolo che recepisce o non può consumare non c’e, dal mio punto di vista non ha prospettive

  24. Gentilissimo Sig. Roberto.
    io rappresento un “bibitaro”, come scrivi sopra.
    Quando calcola i costi al litro, considera anche agli investimenti presso i locali, finanziamenti, costi di distribuzione, personale, veicoli, tasse, ma soprattutto che gli impianti siano i tuoi. Oggi molti ( fortunatamente non tutti) produttori usano vendere i propri fusti, sotto gli impianti dei ” bibitari”.
    Ma soprattutto verifica che tali impianti di mescita, siano seguiti secondo i criteri do haccp. Poi ne riparliamo, dei suoi costi al litro.
    cordiali ssaluti
    il bibitaro

    • Vedi Luigi, sono calcolati oltre ai costi delle materie prime, acqua ed energia, anche il costo della manodopera professionale, i costi del packaging, l’accisa, il materiale di propaganda (bicchieri, sottobicchieri, insegne, ecc.) ed i costi di cessione in comodato d’uso d’impianti di spillatura e la manutenzione/pulizia degli stessi.

      Non è invece compreso l’ammortamento impianti. Sono più di 30 anni che vendo birra, se permetti conosco le voci di costo. Il segreto per abbattere i costi è l’adozione di metodi produttivi, chiamiamoli smart, del reperire in proprio le materie prime e sopratutto nel recuperare acqua, energia e detergenti. In pratica l’ottimizzazione di tutti i passaggi, cosa che normalmente non viene fatta.

  25. La birra artigianale è diventata la cosa più noiosa che esista.
    I birrai i più presuntuosi ed ignoranti personaggi del web.
    Speriamo che presto spariscano la maggior parte di coloro che pronunciano la parola “passione” immediatamente prima di quella “incasso”.
    L’ignoranza e l’insipirenza fatte impresa.
    Appassionati di birra ai miei tempi venivano descritti meglio:
    “Alcolizzati”.
    È un mondo fatto di produttori che non producono, birrai che non birrificano,
    È appassionati che non appassionano.
    Il giorno che i consumatori si rompono i coglioni sono cazzi amari.

  26. Mi occupo di analisi di settore e mi ritengo un esperto del settore birra (sulla birra ho invece ancora molto da imparare, c’è sempre di più da imparare). Tutto il ragionamento, impostato e condotto molto bene, parte da un dato sbagliato: la birra prodotta in Italia non è e non è mai stata, neanche in passato 17,.. Milioni di hl, questo è il dato del consumo! noi importiamo da diversi anni circa 6 milioni di hl di birra ed esportiamo circa 1,9 milioni di hl.
    La birra prodotta in Italia nel 2013 è stata 13,256 milioni di hl. Assobirra stima che microbirrifici e brewpup abbiano prodotto nel 2013 il 2,5% del totale dei consumi, secondo una mia elaborazione da dati Databank il dato dovrebbe riferirsi alla produzione Italiana, ridimensionando all’1,8, 1,9% la percentuale sui consumi, in concreto circa 330.000 hl da suddividere tra 515 microbirrifici (370) e brewpub (145).
    Alcuni di questi micro (non più di 6) sono già oltre i 10.000 hl/anno, ipotizziamo che i 15 più grandi producano complessivamente 100.000 hl, ne resteranno 230.000 da suddividere per le rimanenti microimprese: 460 hl di media annua.
    Il dato più sorprendente riguarda la quota di mercato in valore. il valore complessivo dele vendite di birra in Italia (tutti compresi) dichiarato da Assobirra per il 2013 è di 2,5 miliardi di Euro. Il valore complessivo delle vendite dei gruppi industriali, tra prodiotti italiani e prodotti importati è di 2,035 miliardi di Euro, sicuramente a Databank sarà sfuggito qualche casuale player straniero, a farla larga altri 100 milioni di Euro, probabilmente non si è proprio arrivati a 2,5 miliardi, arrotondiamo a 2,45: restano da assegnare (ai microbirrifici e brewpub 0,3 Miliardi di Euro, il 12,2%di quota di mercato in valore! Da questa cifra si può ricavare anche il prezzo medio al litro (quello per bottiglia si può fare dopo): circa 300 mio € / circa 33.000.000 litri, il risultato è 9-10 Euro al litro.
    tenendo conto che alcuni, solo alcuni dati sono leggermente approssimati, mi sentirei di concludere che: il mercato c’è! ed è molto interessante; l’offerta, le imprese non sono sufficientemente attrezzate per rispondere adeguatamente ad una opportunità grandiosa che hanno contribuito a costruire e di cui hanno i maggiori meriti.
    (Tutti i dati sono disponibili)

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