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I Love Beer: così Heineken pretende di fare cultura birraria

Chi usa frequentemente Facebook sa bene quale quantità di notizie, spesso in anteprima, è in grado di regalare il social network per antonomasia. Così questa mattina mi è capitato di leggere sul relativo profilo che Maurizio Maestrelli ha pubblicato un suo nuovo post. Ho pensato che si trattasse dell’ultimo articolo di Birragenda, invece ho capito che è un altro sito, chiamato Fuori di Luppolo. “Guarda un po’, Maurizio ha rivoluzionato il suo blog”, ho pensato, prima di comprendere che si trattava di qualcosa di completamente diverso. L’impostazione è la stessa, ma gli articoli sono differenti e soprattutto torna spesso la dicitura “I Love Beer Network”. Così ho cliccato su quello strano nome e sono stato rimbalzato su un altro sito: I Love Beer, per l’appunto. Che si autodefinisce “il primo portale italiano che promuove la cultura della birra”. E lì ho iniziato a storcere il naso. Soprattutto quando in fondo alla pagina ho letto “copyright Heineken Italia”. Andiamo bene…

Ora che ho ricostruito il percorso che mi ha portato a scoprire questo nuovo progetto della multinazionale del settore, vorrei commentare la notizia, cercando di rimanere ai fatti – spero di non scrivere inesattezze – . Innanzitutto I Love Beer è un prodotto editoriale di Heineken Italia che esiste già da diverso tempo, ma finora era apparso solo nella sua versione cartacea. Me ne sono ricordato perché a ottobre 2008 proprio Maurizio Maestrelli annunciò la sua nomina a consulente editoriale della rivista. Nei commenti allo stesso post si accennava a un sito web, ancora non attivo, che presumibilmente sarebbe diventato il proseguimento della pubblicazione nel mondo di Internet. E sembra proprio che ora quel proseguimento si sia concretizzato…

Heineken Italia ha deciso di impostare il suo portale come un blog verticale sul mondo della birra, affrontando diversi argomenti anche grazie al supporto di alcuni “esperti”. Da qui il “network” di cui ho scritto all’inizio, nel quale rientra anche il nuovo sito Fuori di Luppolo. Il risultato è un prodotto variegato, che non si limita a promuovere le attività di Heineken nei suoi segmenti classici, ma che purtroppo ha la presunzione di invadere campi che tradizionalmente non le appartengono. Ecco che nel menu si possono allora leggere titoli inquietanti: beerLOVERS, beerPEDIA, CULTURA della birra, e via di questo passo.

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Senza non molto entusiasmo ho navigato un po’ il sito, scoprendo gli errori che gli industriali compiono tutte le volte che vogliono parlare di cultura birraria: informazioni errate, confuse e parziali e in generale un senso di incompiutezza, come se fosse stato fatto un semplice copia e incolla dalle solite pessime fonti di sempre – almeno questo spiegherebbe i ricorsi storici in questo senso. Ecco che allora gli stili a bassa fermentazione sono solo Lager (sigh), Pils, Monaco, Dortmund e Bock, che Pajottenland si scrive con la “y”, che le alte fermentazioni sono solo una decina. Per non parlare della sezione dedicata alla spillatura, che credo farà inorridire più di un publican “illuminato” d’Italia.

Insomma, siamo al cospetto della solita incursione degli industriali nella vita degli appassionati? Sì, ma non solo. Stavolta l’impressione è che, qualità dei contenuti a parte, si tratti di un progetto importante, con il quale Heineken vuole imporsi nel segmento dei siti di comunicazione birraria. Fino a oggi infatti esempi di questo genere erano sempre sembrati accozzaglie di informazioni vaghe, pubblicate giusto perché le multinazionali potessero dire “ci siamo anche noi”. I Love Beer è qualcosa di diverso: sembra un prodotto ideato con un minimo di pianificazione, che vuole proporsi come punto di riferimento per il curioso che cerca informazioni sulla birra di qualità.

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Gli sforzi in questo senso sono evidenti: il coinvolgimento di contributi esterni, la creazione di una pagina Facebook e un account Twitter, lo sviluppo di un’app per Android e iPhone, la pubblicazione di siti collaterali, come il già citato Fuori di Luppolo e Mr. Lovebeer.

Ora io potrei anche accettare che una multinazionale, che per anni se n’è fregata di fare cultura birraria, decida improvvisamente di partire con una missione di evangelizzazione di massa. Però, oltre agli imperdonabili errori, esiste un problema strutturale: se vuoi fare cultura birraria non puoi non partire dal principio, e cioè che la birra industriale è intrinsecamente e moralmente un prodotto contrario alla cultura e che la birra buona è altra, non certo l’Heineken che puoi acquistare al baretto sotto casa.

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Magari alla fine il progetto I Love Beer si sgonfierà come tanti altri tentativi del genere, però non posso non ammettere che un po’ mi inquieta. Come mi ha detto Lelio Bottero questa mattina, pare proprio che le multinazionali stiano preparando l’artiglieria pesante per invadere un segmento fino a oggi rimasto quasi estraneo alle loro attività.

P.S. Mi sembra inutile sottolinearlo, ma meglio evitare incomprensioni, poiché sul web sono sempre all’ordine del giorno. Il mio non vuole essere un attacco al lavoro di Maurizio Maestrelli, che stimo tantissimo e considero un punto di riferimento, oltre che uno di coloro che contribuiscono a fare cultura birraria in Italia. Ho sempre pensato che il suo coinvolgimento nel progetto I Love Beer fosse una garanzia per la tutela del mondo artigianale, e lo credo tuttora. Forse il suo contributo è l’unico di qualità in tutto il sito, spero – ma dubito – che possa essere contagioso per il resto dei contenuti.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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73 Commenti

  1. “Forse il suo contributo è l’unico di qualità in tutto il sito, spero – ma dubito – che possa essere contagioso per il resto dei contenuti.”

    Riassume tutto quello che potrei dire su quel sito.
    Guardandolo sono morto dentro un pochino.

  2. Maestrelli parla di birra per passione, ma soprattutto per lavoro a quanto pare.
    Non che sia un problema, ci mancherebbe. Basta saperlo, in modo da leggere con la giusta consapevolezza ciò che scrive.

    Ciò detto, mi fa piacere che le multinazionali comincino a fare sul serio. E’ ora che le aziende sorrette da paraculaggine e dilettantismo comincino a scricchiolare.

    Ad maiala!

    • Se le multinazionali iniziano a fare sul serio, credo che sarà un bombardamento a tappeto più che un’azione selettiva. Ergo: spariranno tutti i piccoli, o quasi, indipendentemente dalla qualità del loro lavoro

      • Certo che prima fai l’esempio della new economy, adesso con questa affermazione, sei un bel menagramo. Scherzi a parte Heineken e compagnia cantante si reggono sul nulla, vedi categoria aria fritta, dalle mie parti si definisce stare in piedi a balle.

        Saranno anche riusciti a diventare, con Partesa, diretti concorrenti sleali dei loro stessi clienti, ma non penso che riescano a fermare il movimento. Avrebbero dovuto muoversi, prima, molto prima, mentre come spesso fa chi è ben piazzato, hanno sottovalutato il “nemico” ed ora il nemico è abbastanza robusto per stare in piedi da solo e siamo solo all’inizio.

        Ormai non possono più spararle grosse come una volta senza che nessuno se ne accorga, mi aspetto una raffica di commenti su quel sito, da parte di tutti quelli che normalmente si scannano tra di loro, forse questo sarà il nemico comune, che farà mettere d’accordo tutte le varie teste calde che circolano sul BeerWeb.
        Anche perché smontare le loro tesi è di una facilità estrema, così che s’accorgano che parlano di cose che non gli competono.

      • I piccoli devono svegliarsi. Fare l’imprenditore col vento in poppa è facile, farlo con una concorrenza seria, incazzata e ricca è tutt’altra cosa.
        In tutti i settori dell’agroalimentare le eccellenze sopravvivono (spesso non si limitano a sopravvivere, ma prosperano), ovviamente devono essere sostenute da talento, capacità imprenditoriale e visione strategica.
        Chi non ce la fa, cambi mestiere. Senza troppi drammi.

  3. Payottenland è la dicitura comunemente accettata in lingua inglese, non lo vedo come un errore così grossolano, visto e considerato che la stragrande maggioranza dei toponimi di lingua neerlandese (fiammingo + olandese) non ha una traduzione in italiano.

    • Usare il termine inglese invece di quello originale mi sembra una soluzione quantomeno arzigogolata e dubito fatta con coscienza.

      • Perché arzigogolata? La maggior parte dei testi di birra in lingua inglese (che so, la Good Beer Guide di Tim Webb, sia nella parte generale curata dall’autore che in quella scritta nientemeno che da Frank Boon) riporta payottenland. Se trovo questo termine in italiano, penso semplicemente che chi ha scritto possa aver letto quello o altri ottimi testi in lingua inglese.
        Se invece dovessi pensare a una scelta linguistica consapevole, ti direi che è anche intelligente, visto e considerato che qualsiasi italiano senza nozioni di pronuncia neerlandese finirebbe per pronunciare la j alla francese.

        • Non userei in italiano la traduzione in inglese di un termine straniero (né italiano né inglese). La Good Beer Guide è inglese ed è normale che la dicitura sia inglese. Il resto del commento sono tue semplici congetture.

          • Andrea , cominci anche a fare lo sceriffo del web?
            Sono ragazzi…cosa vuoi che sia una ipsilon al posto di una gei?

          • No è che una volta tanto volevo fare il talebano e la disputa gei contro ipsilon è perfetta

          • @ Turco: non è la traduzione, al limite la traslitterazione.
            @ Schigi & Turco: in realtà c’è molta meno rigidità su y e j nella lingua neerlandese di quanta se ne possa immaginare senza conoscere la lingua, ci sono revisioni periodiche abbastanza frequenti sullo spelling in uso che di volta in volta rivedono/ribaltano l’interpretazione correttamente accettata. La pagina wikipedia di lingua neerlandese http://nl.wikipedia.org/wiki/Pajottenland ad esempio cita i primi testi che fanno uso del termine, e lo fanno come payottenland.

          • Alessio a me pare che stai facendo polemica senza senso, forse per fare piacere al tuo ego, non solo concentrandoti su qualcosa che non c’entra niente col discorso generale, ma soprattutto muovendo osservazioni che non mi convincono neanche lontanamente.

  4. ma!!, di certo se zia Heine cala l’artiglieria pesante hai voglia a fare comunicazione alternativa. Secondo me il “movimento” è ben lungi dall’avere la forza necessaria per contrastare le decine di milioni di euro che ogni anno questi possono permettersi di investire in ogni modo. I casi sono due, o vogliono tenere a “bada” la nicchia (ed i nicchioni) o, e mi pare più probabile, la vogliono presidiare con qualche prodottino fatto ad Hoc (si vede che l’esperimento Moretti gran cru è stato positivo) Staremo a vedere.

  5. secondo me , la guerra non la fanno le multinazionali o le industrie della birra.le fanno i birrifici tra di loro,con varie associazioni a dargli man forte.
    ora se uno arriva al mondo della birra per la prima volta ti chiede ,ma che associazione li rappresenta?unionbirrai?assobirra?quella nuova che sta per arrivare?
    poi legge il forum di mobi,degli svizzeri e altri e capisce subito una cosa …che se gli industriali fanno la guerra non tanti,molti chiudono baracca…..

      • Senz’altro Assobirra…..è l’unica associazione di categoria esistente (tanto è la stessa bevanda..sigh)!

        Unionbirrai è generica……è una Associazione di tutti….cosa vuoi…. a breve allargherà anche ai forni artigianali ed agli allevatori (tanto usano le trebbie delle birre…)…… 🙂

        Beh quando un mercato è in crescita ci si buttano tutti……e chi lo ha aperto dorme sonni beati….
        tanto la birra “adesso” la stò vendendo comunque……
        tra due anni si vedrà…..cosa vuoi che succeda….io sono più furbo degli altri …a me non succederà mai…..non ho tempo…..

        Per la nuova associazione ….sono stati già dati dei giudizi pesanti e definitivi….già prima di partire di poter dire qualcosa…..quindi è stato già deciso il suo destino……

  6. Secondo me, alla fine dei conti, la cultura della Birra la dovrebbero fare, e, in purtroppo ancora pochi casi, la fanno, i Publican. E’ li che si deve lavorare.

    • Che conosca …ce ne sono molto pochi che ne sanno veramente…..
      Cultura e comunicazione direi….ma se la lasciamo fare ad Assobirra…stiamo freschi……
      Direi che dovrebbero farla insieme tutti gli attori principali del movimento…Produttori Artigianali Italiani-Publican-Appassionati……pur operando ognuno con le proprie specificità…..Io penso sempre all’accoppiata inglese SIBA + CAMRA…….

  7. Credo abbiano capito che il mondo della birra artigianale italiana sta (purtroppo) puntando verso il segmento dell’alta ristorazione. Vogliono prenderselo loro, e mi sembra abbastanza chiaro dal carattere degli articoli sul sito.
    Sono errati, imprecisi, consigliano in larga maggioranza birre di merda, hanno lo scopo di fare tendenza? E chi se ne fotte. Un mondo fatto di associazioni boriose dove girano più soldi che altro si merita le Heineken, le McFarland, le Moretti Grand Cru.

    Così, forse, molti si renderanno conto che un movimento della birra artigianale cresce in un LUNGO periodo, e non è misurato da quanti più soldi riesci a guadagnare in minor tempo perché punti a farti distribuire la birra in ristoranti dove la vendono a 15 euro a bottiglia (e magari è pure guasta).
    O così, forse, molti penseranno che il gioco non vale la candela e lasceranno perdere. Magari quelli che resteranno faranno quadrato, chissà.

    Se può essere un modo per far cambiare radicalmente direzione alla birra artigianale in Italia e scollarla da quella presa, quasi quasi faccio il tifo per Heineken.

    • non penso sia solo la ormai (anche scontata) storia dell’alta ristorazione.
      Questa iniziativa ha obiettivi molto più ampi, con un target “globale”

      Premettendo che la miglior (dis)informazione le multinazionali la fanno con il loro prodotti, quello che credo potrebbe dar fastidio ai più sia il fatto di appropriarsi di una “evangelizzazione” che è tipica dell’ambiente craft.
      Non mi vien nemmeno da criticare i contenuti di una iniziativa simile.

      Il discorso è solo capire fino a che punto ci si può spingere gli uni nel terriotrio degli altri.
      Penso che ci siano dei limiti purtroppo invalicabili per entrambe le parti e la migliori cosa è lavorare bene nel proprio ambito.

      • D’accordo con Indastria. Mi sembra che ormai la ristorazione se la siano conquistata, anche perché forse è rimasto un segmento poco sviluppato dai microbirrifici (paradossalmente!). Ora consolidano quel contesto e intanto gettano un occhio altrove…

  8. Era inevitabile, ma perchè vederla così nera? In fin dei conti potrebbero fare il gioco dei piccoli produttori. E’ un chiaro sintomo di come ormai il fenomeno “artigianale” abbia raggiunto una fetta di mercato degna di considerazione per i grandi investitori. Operazioni del genere aprono il mercato delle birre “strane” in locali dove in genere si beve roba da pancreatite, non fanno nient’altro che aumentare la curiosità di gente che MAI sarebbe raggiunta da una Quarta Runa…Cioè, vicino a noi ci sono locali che sulla lavagna hanno Ceres, Corona, De Molen e Mikkeller, accanto ai TeKu della Moretti Gran Cru…Ebbene, dov’è il problema? Non possono togliere lavoro a chi gestisce un locale finalizzato alla birra di qualità, ma paradossalmente potrebbero creargli nuova clientela di gente incuriosita da “gusti nuovi”…Stessa cosa per i produttori. Vedo il mercato abbastanza grande, poi il primo tizio che entra e mi chiede di spillargli la birra come sul sito potrebbe venire preso gentilmente a calci nel sederino, creando anche un momento ilare, non è così male…

  9. Io al momento sono in viaggio dall’altra parte del mondo (in Patagonia e,ebbene sì, con Partesa nel duplice ruolo di consulente editoriale di Heineken per il progetto I love Beer e giornalista per un mensile maschile per un reportage del viaggio). Ergo, non riesco a dire la mia, come vorrei, su questo post di Andrea che ringrazio per la stima (sinceramente ricambiata). Mi fa piacere comunque di non essere stato pubblicamente lapidato (almeno per ora) e dico solo rapidamente un paio di cose:
    1) sì, scrivere di birra (e altro) è un lavoro per il quale vengo pagato. Se non fosse così farei altre cose. Ed essendo un freelance mi devo sbattere per far quadrare i conti. Solo con la birra artigianale, mi dispiace, morirei di fame dopo un mese
    2) non credo assolutamente ci sia d’avere paura dell’artiglieria pesante delle multinazionali. Per quanto potenti possano essere i loro mezzi non riusciranno a uccidere i piccoli artigiani o i grandi publican. Piuttosto, prevedo che alcuni artigiani e publican si suicideranno da soli, ma i migliori camperanno benissimo e sarà tutto di guadagnato
    3) condivido il pensiero di Pecora Nera di leggere “con la giusta consapevolezza ciò che scrive”. E’ quello che si dovrebbe fare sempre, con tutti e dappertutto. Il Verbo di Dio va bene solo a Messa…

    • Maurizio, non mi hanno approvato il commento sulla spillatura…non era così offensivo…C’è un filtro ai commenti grosso come quello che usano sulle loro birre, ma se attendono commenti positivi me sa che hanno tempo da perde 😉
      Volevo esse costruttivo

      • in effetti la spillatura come la fanno sul sito fa un pochetto rabbrividire…quasi quasi vengo al Macchè e ti chiedo di spillarmi BENE una Heineken 😉

  10. Secondo me questo sito può solo che procurare pubblicità indiretta al mondo della birra artigianale perchè chiaramente uno che già è inserito nel mondo della birra artigianale non viene incuriosito nè dal sito nè dalle birre industriali in generale. questo sito ha come target chi già è fruitore delle solite birre industriali nazionali e estere e a chi non è tanto inserito nel mondo della birra e quindi, pur con qualche imprecisione e approssimazione, spinge comunque queste persone ad apprendere notizie inerenti al mondo birraio; questo potrebbe far scattare in alcuni o, perchè no, in molti la molla che per andar a scoprire anche altri stili, altri tipologie di birra al di là della solita Heineken. Ad esempio sul sito si parla di Lambic, ma non credo esistano Lambic industriali quindi, se uno è incuriosito da questa tipologia, deve per forza buttarsi nel mondo dell’artigianato. Forse per una volta le multinazionali potrebbero tornar utili anche agli artigianali.

    • Io quoto il commento di David!
      Non la vedo nera neppure io. Il “popolo italiano” si sta formando in cultura birraia grazie al fenomeno birra artigianale, ed Heineken sta andando avanti di un altro step rispetto a quello che faceva prima, cioè solo spot su sbronze. Sicuramente sul sito qualcuno ha anche notato la sezione di viaggi birrai, recensioni, eventi…insomma, tutta roba scopiazzata dalla blogosfera ed formalizzata in un sito di una multinazionale.
      Vuol dire che sono gli appassionati come quelli che scrivono e leggono qui e altrove a fare il movimento. Heineken sta solo seguendo i passi, credo anche umilmente, suggerendo le birre che ha nel suo arsenale e niente di più. E come va va. Sempre meglio che ignorare il fenomeno, no? Rischierebbero di essere totalmente snobbati!
      Poi, come diceva qualcuno, mettendo altre pulci nell’orecchio, è chiaro che non appena ci si ritrova una birra artigianale e la si prova ad affiancare ad con una Adelscott, beh…quella potrà essere la sua gateway beer, e alla fine della fiera ce li ritroviamo tutti da questa parte!

    • Scusate la mia intromissione è la prima volta che scrivo,il fenomeno birra artigianale è molto percepito in città,in provincia c’è gente che ancora resta meravigliata a sentire la parola ARTIGIANALE.
      Noi come attività ci stiamo lavorando molto sulla birra,ma nonostante tutto c’è chi mi risponde”ma io volevo una Ceres,na Tennet’s”pensando che il mondo della birra finisca li.
      Questo è un piccolo esempio per dire che se scende in campo un multi nazionale come Heineken o come Ceres per fare dei nomi con le loro campagne pubblicitari,con lo sperperare di gadget non faranno altro che convincere sempre di più coloro che non riescono a vedere oltre.
      Credetemi che qui in provincia e veramente dura far capire la bontà dei prodotti artigianali,ma noi non molleremo mai.

      Saluti Lino

  11. c’era un bell articolo di Andrea sulle gateway beer…
    io ho cominciato ad avvicinarmi bevendo Guinness.
    allo stesso modo un amante del buon mangiare si interesserà a nuovi esperimenti gastronomici, magari partendo da una Mc Farland per arrivare ad una Beerbera…

    • Ciao alex, se hai commenti costruttivi da lasciare sono ben accetti. Ho notato però che i tuoi primi tre messaggi su questo sito sono orientati solo a seminare zizzania dietro anonimato, quindi ho deciso di non accettarne altri dello stesso tenore.
      Ciao ciao

  12. Non drammatizzerei più di tanto, certo il sito è strutturato per quello che è l’interesse della multinazionale, cioè vendere le proprie birre e farle passare come qualcosa di gradevole e “prezioso”, nulla di scandaloso in questo, la pubblicità è l’anima del commercio.
    L’artigianale deve e può difendersi solo con la qualità, non può competere a livello economico e di battage pubblicitario, perderebbe e perde in partenza: se bevo una ottima birra artigianale ed una Peroni avrò i parametri di scelta (lo stesso posso fare con un ottimo caffè torrefatto artigianalmente o con un cioccolato di qualità etc etc).
    La Heineken è un prodotto di massa e come tale vive, le birre artigianali non possono essere di massa (tutti i microbirrifici italiani assieme non credo riuscirebbero a soddisfare una domanda di massa, nemmeno venddendo le cotte difettate…e sinceramente trovo che sia un bene) e devono, credo, seguire il loro naturale percorso teso alla qualità e genuinità del prodotto, è la sola carta che hanno contro i prodotti industriali che sono altra cosa e perseguono altre logiche.
    Insomma non credo che un sito del genere sia “pericoloso” in sè per le birre artigianali, lo sono molto più i publican impreparati ed i birrai maldestri (o avidi) che non mettono l’anima nel loro lavoro e nel loro prodotto, che è il vero carattere distintivo rispetto ad un anonimo prodotto massificato.
    Mi sa che son stato troppo prolisso, per punizione ora mi faccio una Nastro Azzurro….

  13. i cavalli vincenti si vedono sulle lunghe distanze , se uno sà fare il proprio mestiere ,qualunque esso sia , e lo fà con passione …. non può non avere risposta positiva dal mercato .
    Le parole lasciano il tempo che trovano , alla fine è chi sceglie che decide !!

    Monnypensiero del giorno….

    ciao a tutti

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