Negli ultimi giorni sulle principali testate generaliste è rimbalzata la notizia di un’importante innovazione nella produzione brassicola. I ricercatori del CNR di Firenze (Cnr-Ibe) hanno messo a punto una tecnologia che permette di ottenere un mosto di birra eliminando totalmente la fase della bollitura, con notevoli vantaggi in termini di risparmio energetico. Il procedimento, che permette di limitare dell’80% consumo di energia, si basa sull’applicazione della cavitazione idrodinamica, ossia un fenomeno di formazione, accrescimento e implosione di bolle di vapore in un liquido a temperature inferiori rispetto al punto di ebollizione. Queste dinamiche generano microambienti caratterizzati da temperature localmente elevatissime e intense onde di pressione e getti idraulici, che possono intensificare l’effetto di processi fisici, chimici e biochimici.
La bollitura è una fase cruciale nella produzione brassicola ed è fondamentale per favorire l’evaporazione di alcune sostanze aromatiche indesiderate, che altrimenti andrebbero a rovinare il profilo del prodotto finito. Ad esempio note di mais in scatola e verdura bollita possono derivare dal DMS (dimetilsolfuro) – il precursore SMM è naturalmente presente nei cereali – ma in condizioni normali è destinato a disperdersi a seguito di bolliture vigorose. È naturale chiedersi allora come il CNR pensa di superare questo problema, considerando che la sua tecnologia non prevede bollitura. Lo spiega Francesco Meneguzzo, primo ricercatore del Cnr-Ibe e coordinatore dello studio:
La cavitazione idrodinamica permette di scaldare il mosto a 94°C, diversamente da quanto avviene con le produzioni tradizionali, che prevedono una bollitura a 100°C per 90 minuti. Questo garantisce un abbattimento dei tempi e del consumo di energia di oltre l’80%. Oltre a ciò, la cavitazione elimina il precursore del dimetilsolfuro, un composto che restituisce odori e sapori sgradevoli alla bevanda, con una velocità tre volte maggiore rispetto a quanto ci saremmo inizialmente aspettati. Attraverso questo metodo, il dimetilsolfuro viene immediatamente espulso dal mosto della birra e alla fine del processo l’amaro di luppoli si trasferisce al mosto, modificandone il colore. Soltanto attraverso la cavitazione idrodinamica, che concentra un grande quantitativo di energia, è stato possibile ottenere questi risultati.
Chiaramente la novità del CNR è potenzialmente in grado di rivoluzionare la produzione brassicola. La notizia è però arrivata solo ora sulle principali testate giornalistiche, sebbene il brevetto sia stato depositato nel lontano 2016 e un prototipo dell’impianto esista già da diversi anni. A raccontarlo è Maria Carmela Basile, responsabile dell’Unità valorizzazione della ricerca del CNR, la struttura che gestisce e tutela la proprietà intellettuale dell’Ente:
Fin dall’inizio, 10 anni fa, abbiamo sostenuto con convinzione lo sviluppo delle ricerche relative a questo brevetto e i risultati raggiunti ci danno ragione. La possibilità di utilizzare soltanto energia elettrica, potenzialmente generata da fonti rinnovabili, rappresenta una svolta e un impulso concreto alla decarbonizzazione di uno tra i settori alimentari più energivori.
Come accade spesso nel mondo della birra, alcune innovazioni non sono altro che un adattamento di pratiche già utilizzate in passato. Nella sterminata cultura della nostra bevanda esiste una famiglia di birre accomunate proprio dall’assenza di bollitura nel processo produttivo. Sono le cosiddette Raw Ale, creazioni “ancestrali” appartenenti a un’epoca lontana, che in alcune incarnazioni resistono ancora oggi soprattutto in Nord Europa. In passato presumibilmente tutte le birre non venivano bollite, perché l’uso di tini di legno (prima dell’avvento di altri materiali) impediva di raggiungere agevolmente le temperature di bollitura e mantenerle per tempi prolungati. E il DMS allora? In molti casi semplicemente non era un problema, perché questa sostanza si forma solo con temperature superiori agli 80 °C.
Tornando alla notizia del CNR, ora sarà interessante capire se la nuova tecnologia troverà applicazione in tempi rapidi. Intanto il brevetto è stato acquistato dall’azienda Cavitek, una start up nata proprio per promuovere la tecnologia e renderla disponibile sul mercato. Dopo dieci anni forse è questa la vera notizia legata all’intera vicenda.