Nel mondo della birra sono piuttosto comuni i casi di birrifici che seguono criteri precisi per battezzare le loro birre. Quasi sempre le regole si basano su logiche “concettuali”: ci sono produttori che si affidano a suggestioni provenienti dalla musica, dal cinema, dalla natura o da altre discipline, definendo quindi un filo conduttore che unisce le rispettive creazioni. Talvolta accade però che i criteri riguardano aspetti più profondi della nomenclatura, cioè pattern sintattici o morfologici, in base ai quali è possibile individuare logiche “formali” più che “concettuali”. Capita quando tutte o quasi le birre di un birrificio sono formate da parole di lunghezza fissa, o cominciano sempre con la stessa lettera oppure mostrano una specifica proprietà linguistica. In Italia troviamo alcuni esempi, che riportiamo di seguito. Menzioniamo i birrifici che hanno adottato tali soluzioni per tutta la loro gamma e non solo per linee speciali.
Degged – Nomi palindromi
Quando qualche anno fa il birrificio livornese Doctor B decise di rivoluzionare totalmente la sua immagine, adottò anche un nuovo nome: Degged (sito web). La parola non ha un significato preciso in inglese – potrebbe essere la forma passata del verbo arcaico “deg”, che significa “spruzzare” o “innaffiare” in alcuni dialetti scozzesi e del Nord dell’Inghilterra – ma possiede una proprietà palindroma che, secondo le fondatrici Francesca e Laura, richiama l’equilibrio e l’armonia che ricercano in ogni ricetta. La sfida è mantenere lo stesso criterio anche per i nomi delle birre, che infatti sono sempre palindromi: Barab, Ananà, Anina, Enné, Ippi, Isi, Mygym, Noon, Ottetto, Racecar, Solos e via dicendo. L’unica eccezione che a oggi ci risulta è incarnata dalla Tango, una Italian Pils prodotta a novembre del 2024 con l’omonima varietà di luppolo tedesco.
Birrificio Abruzzese – Nomi di tre lettere
Utilizzare solo tre lettere per battezzare un prodotto è una sfida ambiziosa, che tuttavia il Birrificio Abruzzese (sito web) ha deciso di adottare sin dagli esordi. In questo caso la difficoltà non è tanto combinare tra loro le lettere, bensì farlo mantenendo un nesso logico con lo stile birrario. Fino a oggi il produttore di Castel di Sangro c’è riuscito con validi risultati, come dimostrano USA (West Coast IPA), ZAR (Russian Imperial Stout), OSA (Modern Hazy IPA) o EMU (Pacific IPA). Attualmente non ci risultano eccezioni a questo stringente criterio.
Mister B – Nomi con “B” come lettera iniziale
Quando nel 2017 partì l’avventura di Mister B (sito web), tutti furono catturati dalla sua peculiarità principale: confezionare birra artigianale esclusivamente in lattina, una scelta coraggiosa e senza precedenti per la scena brassicola italiana dell’epoca. Così passò in secondo piano un’altra curiosità: la decisione di ideare, per le proprie birre, nomi aventi sempre la lettera “B” come iniziale. Coerentemente con questo principio, negli anni si sono avvicendate nella gamma creazioni come B-Latta, Babau, Babbà, Bacon Rauch, Bamba, Be Adorable, Bella Uncle, Boodino, Boschetto e tante altre, senza considerare le linee speciali BOH e B.I.R.O. Un criterio non troppo vincolante, ma che – se non andiamo errati – è stato abbandonato solo nel caso di alcune collaborazioni.
Nomi con numeri
Una scelta particolarmente radicale, ma non per questo poco diffusa, è affidarsi esclusivamente ai numeri per battezzare le proprie birre. In Italia esistono alcuni esempi, che però nel tempo sono stati abbandonati oppure si accompagnano ad altri riferimenti semantici. Utilizzare esclusivamente un numero, infatti, finisce per disorientare il consumatore finale e ridurre drasticamente l’identità di un prodotto (nonché la facilità di ricordarlo per chi beve). Inizialmente il Birrificio Carrobiolo (sito web) decise di chiamare ogni birra con il relativo valore in gradi plato del mosto, salvo poi cambiare direzione qualche anno dopo. Oggi come retaggio di quell’epoca rimane l’Old Ale torbata O.G. 1111. L’altoatesino Monpier de Gherdeina (sito web) invece identifica molte delle sue birre con l’altitudine di alcune vette dolomitiche, sebbene aggiunga vicino il nome delle stesse e altri riferimenti stilistici.
Insomma, l’uso dei numeri è intrigante, ma deve essere supportato in qualche modo a livello semantico. Anche l’inglese Brew By Numbers (sito web), che è forse il caso più celebre a livello europeo, affianca ai numeri riferimenti stilistici o produttivi (es. “11 | Session IPA Mosaic”), indispensabili per orientare il consumatore.