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Per la serie “duri a morire”, ecco sfatati alcuni falsi miti sulla birra

Uno dei temi più ricorrenti negli articoli dedicati alla birra artigianale è quello riguardante i falsi miti che aleggiano intorno alla nostra bevanda. Nonostante la birra sia uno dei prodotti alcolici più diffusi al mondo, esiste una generalizzata ignoranza nei suoi confronti che alimenta credenze errate e certezze infondate. Non è un caso che tanti corsi di cultura birraria partano proprio smontando certi postulati: un modo piuttosto efficace per incuriosire il pubblico, ma soprattutto per prepararlo alla grande ricchezza dell’universo birra. In passato anche qui su Cronache di Birra abbiamo confutato tanti falsi miti, ma – coerentemente con l’impostazione del blog – affrontando argomenti abbastanza tecnici, come il concetto di sviluppo sostenibile, autarchia produttiva e quantità limitate. Esistono però credenze molto più “entry level” che è il caso di verificare esattamente allo stesso modo, offrendo magari delle occasioni di approfondimento. Lo faremo nel post di oggi, ricollegandoci a vecchi articoli di Cronache di Birra per spiegazioni più tecniche.

 Meglio non avere schiuma nel bicchiere

Una credenza piuttosto diffusa – ma che azzarderei a considerare in calo – è che la presenza della schiuma nel bicchiere rappresenti un tentativo di frode nei confronti del consumatore, perché toglie spazio al prezioso liquido. Niente di più falso. Lo avrete sentito milioni di volte, ma è meglio ripeterlo: la schiuma non solo è auspicabile, ma è quasi sempre necessaria. Svolge una significativa funzione antiossidante, esalta alcuni profumi, contribuisce alla resa tattile della birra e ancor di più a quella puramente estetica. La sua importanza è tale che nel 2013 le dedicai un intero articolo, nel quale parlai anche della sua variabilità in base allo stile, degli agenti che ne favoriscono o penalizzano la formazione e dell’effetto dinamico da cui si genera.

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Solo la birra di scarsa qualità finisce in lattina

Se questa affermazione poteva essere considerata valida diversi decenni or sono, ora è talmente anacronistica da risultare completamente sbagliata. Le lattine non sono più quel terribile involucro che trasformava la birra in un imbevibile liquido ferroso: con gli avanzamenti della tecnologia sono diventate un contenitore valido come le bottiglie, se non persino migliore in svariate circostanze. Prova ne è che tanti birrifici craft americani e ormai anche europei inlattinano tranquillamente i propri prodotti e addirittura esistono realtà, come la statunitense Oskar Blues, che usa esclusivamente questo tipo di contenitore. Il tema fu trattato agli albori di Cronache di Birra in questo pezzo del 2008, mentre in tempi più recenti Anna Managò ci ha spiegato quali vantaggi offrono le lattine in termini di marketing e design.

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Bere birra fa bene alla salute

Quante volte ci capita di imbatterci in articoli o studi che esaltano quel particolare effetto positivo del consumo di birra sulla nostra salute? In questi anni ne abbiamo lette di tutti i tipi: la birra previene le malattie delle ossa, abbassa il colesterolo nel sangue, evita problemi coronarici, riduce l’attività di enzimi responsabili della formazione delle rughe, ecc. Queste notizie vengono sempre accolte con entusiasmo tra i consumatori abituali, come se rappresentassero un’indulgenza plenaria per i propri stili di vita. Il problema è pensare che la birra non sia nociva, cosa del tutto sbagliata: è una bevanda alcolica, quindi per definizione tossica per il nostro organismo. Di questo spinoso argomento parlammo nel 2014.

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La birra artigianale non esiste

Ognuno ha la sua idea di birra artigianale: c’è chi la associa al piccolo artigiano che produce pochi ettolitri l’anno, chi a tutti quei prodotti non spudoratamente mainstream (anche se realizzati da multinazionali), chi ancora all’assenza di determinate soluzioni produttive. Se fino a qualche tempo fa il concetto di birra artigianale era completamente soggettivo, dall’inizio dello scorso anno esiste una legge che la definisce in maniera (più o meno) precisa. Che vi piaccia o meno, ora esistono dei criteri che dicono cosa è e cosa non è la birra artigianale. Quali sono? Li ho illustrati in questo articolo pubblicato proprio all’epoca.

Le birre di frumento si servono con una fettina di limone

Ma neanche per sogno! Per fortuna anche questa abitudine sta passando di moda, eppure ancora capita di chiedere una Weizen (o una Blanche) e vedersela servita con una bella fettina di limone infilzata sull’orlo del bicchiere. Il limone è l’esempio più odioso di “agente esterno” che finisce per aggiungersi a una birra bell’e pronta, ma non è l’unico. Alcuni appartengono alla tradizione, altri sono propedeutici al servizio, altri ancora intervengono direttamente in fase produttiva. Ad esempio sapevate che non tutte le birre sono adatte ai vegani? Vi ho spiegato perché in questo vecchio articolo risalente al 2011.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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