Con il ritorno alla normale attività di Cronache di Birra torna anche l’appuntamento con Viaggio al centro della birra, la rubrica tenuta da Marcello Mallardo. Il suo percorso formativo all’apertura di un birrificio personale continua con una nuova tappa, che stavolta lo vede all’opera in Italia meridionale. A ospitarlo sarà infatti il birrificio Il Chiostro e il suo birraio Simone della Porta. La giornata offrirà l’opportunità a Marcello di approfondire altri aspetti relativi alla pianificazione di un birrificio, confrontandosi con problemi reali e scoprendo come sono stati affrontati nella fattispecie. Rispetto alle visite ai primi birrifici, ora non si tratta più di gite di piacere, ma di vere e proprie sessioni di formazione sul campo…
Birrificio Il Chiostro
Questa tappa del viaggio mi riporta a casa. Da quando avevo letto sulla guida Slow Food di questo impianto “fatto in casa” e della qualità delle birre che questo birrificio sforna, mi ero ripromesso di andare a visitare Il Chiostro. Simone della Porta è un ragazzo che ha seguito un percorso chiaro e preciso attorno alla sua passione per la birra, facendola diventare ben più di un lavoro. Al progetto imprenditoriale Simone ha anteposto la tradizione brassicola e lo sviluppo di birre autentiche, genuine ed estremamente ben studiate.
Simone ha approfondito la sua esperienza da homebrewer, investendo quanto possibile nella sua formazione: il corso del prof. Buiatti all’Università di Udine e una doppia esperienza alla Caledonian Brewery, durante la quale ha sviluppato una forte passione per le ricette brassicole di stampo anglosassone. Ma il vero segreto sta nel viaggiare tanto, come sottolinea il mastro birraio di turno, “rubando” segreti e idee dai luoghi in cui la tradizione brassicola è particolarmente forte. Se bastasse questo, io già sarei a buon punto!
Alla formazione Simone ha aggiunto un discorso del tutto particolare, costruendosi in proprio un impianto a fiamma diretta da 1,2 ettolitri. Ricordando i discorsi fatti al corso organizzato da UnionBirrai, durante il quale ci confrontammo con il pericolo di sottodimensionamento dell’impianto, stuzzico Simone sull’argomento. È chiaro che bisogna innanzitutto fare i conti con le proprie disponibilità economiche senza mettere in gioco fino all’ultimo centesimo a disposizione, così come bisogna confrontarsi con lo spazio a disposizione e la capacità commerciale del birrificio. Una prospettiva di crescita deve sicuramente far parte di un progetto di questo tipo, ma anche la capacità di rimanere coi piedi sulla terra.
Chiacchierando scopro che Simone possiede anche circa 100 piante di luppolo e ha optato per il riutilizzo dei lieviti. Su quest’ultimo punto il mastro birraio è estremamente chiaro andando a completare una visione sempre più romantica del suo birrificio : “Io non faccio la birra. La birra la fa il lievito”.
Man mano che il mio viaggio continua alcuni argomenti di discussione cominciano a farsi ricorrenti. Lo stesso non può dirsi per le risposte. Simone ad esempio mi spiega come durante il primo anno di vita del birrificio abbia lavorato ad un’unica ricetta, perfezionandola e ritoccandola fino ad arrivare al risultato cercato. Personalmente credo che la capacità di limitare l’investimento iniziale gli abbia reso più facile una decisione di questo tipo. Ma sono fermamente convinto che il primo passo fondamentale sia la specializzazione. In quest’ottica infatti, i risultati non possono tardare ad arrivare.
È con orgoglio che Simone mi mostra alcune recensioni e mi parla delle visite illustri, e con la modestia che non deve mancare al birraio non ingigantisce i premi e le gratificazioni ricevute.
Anche Simone, dal punto di vista commerciale, ha attuato una politica di prossimità, entrando giustamente nelle grazie del principale pub di zona che gli ha anche commissionato una birra che esce leggermente dalle sue corde. Le birre del Chiostro sono però reperibili anche in California e in Giappone, ricordandomi un forte interesse per le birre italiane anche fuori dai confini nazionali.
Non posso non cercare di approfondire il discorso sulla birra campana, della quale dobbiamo denotare ancora una scarsa cultura e una forte fatica nei confronti del vino. Le basi e i presupposti per aprire il settore anche al Sud tuttavia non sembrano mancare, così come la qualità dei prodotti. Nel pomeriggio incontrerò Alfonso Del Forno, che me ne darà conferma. Nel corso del mio viaggio scopro infatti che gli homebrewers campani sono molti di più di quel che ci si aspetta così come gli eventi e le manifestazioni dedicate alle birre di qualità. Non a caso si assiste al proliferare delle beer firm campane e dei punti consumo. Eccezion fatta per Napoli (sigh!). Spero in questo senso che lo spirito e il fermento campano vadano con sempre maggior forza verso un atteggiamento inclusivo e collaborativo. Visione che credo di condividere con chi ospita questa rubrica.
Tornando a casa, a riprova di quanto emerso in giornata, faccio assaggiare a mio padre (“obbligato” dal sottoscritto ad affacciarsi al mondo della birra e a partecipare alle mie cotte), durante la cena, la Golden Ale di Simone. Soddisfatto, mi guarda e dice : “Quello della birra è proprio un settore interessante”…