Il mondo della birra artigianale è davvero affascinante. Lo è non solo per il prodotto in sé, in grado di regalare continue emozioni, ma anche per il grande fermento che vi si respira ogni giorno: i trend e le mode del settore si susseguono rapidamente, offrendo continui spunti di riflessione e confronto. Ma cosa determina la nascita di una nuova tendenza e il suo successivo consolidamento? Perché certe idee non riescono a svilupparsi oltre la loro forma embrionale, mentre altre diventano successi imitati da tutti? Esistono figure che giocano un ruolo importante in questo processo? Probabilmente molti di voi si sono posti queste domande ed è chiaro che la risposta è da ricercare nella filiera del prodotto, nella quale operano sostanzialmente tre soggetti: il produttore, il distributore e l’esercente. A questi va aggiunto un ulteriore attore che è il consumatore finale e che, dovendo effettuare l’acquisto, non può non influenzare le scelte effettuate lungo il flusso precedentemente illustrato. Ma nella birra artigianale tutti queste figure hanno lo stesso peso nella determinazione delle tendenze di settore? Cerchiamo di capirlo insieme.
Consumatore
Partiamo proprio dalla fine e cioè da colui che in ultimo acquista la birra. Vista la sua posizione chiave, si potrebbe pensare che il consumatore sia il soggetto più importante nel definire le caratteristiche del prodotto finale. A mio avviso questo è vero solo in parte e, a causa delle peculiarità e della giovane età del mercato italiano, l’importanza del consumatore deve essere decisamente ridimensionata. La maggior parte degli utenti è infatti ancora decisamente ignorante in materia e, nella migliore delle ipotesi, avrà bevuto birre artigianali solo in pochissime occasioni. Il “gusto” è ancora tutto da formare e quasi sempre sarà guidato più dalla selezione che gli si parerà davanti piuttosto che da scelte consapevoli e completamente autonome.
Prendiamo la moda romana (ma non solo) per le birre straluppolate: secondo voi è nata da un’effettiva “voglia di amaro” dei clienti oppure è stata indotta dalle spine dei pub e dagli scaffali dei beershop? Sembrerebbe un po’ come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina, ma nella fattispecie non si tratta di una questione di precedenza cronologica. Qui si vuole capire come si è arrivati alla tendenza per le birre amare (o per altri trend). Fermo restando che non c’è stata alcuna “congrega di consumatori” che un bel giorno si è svegliata chiedendo luppolo extra, l’impressione è che lungo la filiera qualcuno sia riuscito a canalizzare – se così si può dire – una “voglia” latente dei consumatori finali, decretandone il successo e convincendo altri operatori a imitarlo. Proviamo allora a vedere cosa succede ad altri livelli.
Produttore
La birra nasce in birrificio, quindi è il birraio a decidere quali caratteristiche avrà la ricetta finale. Si tratta chiaramente di una posizione privilegiata, che sembrerebbe attribuire al produttore un potere decisivo nella definizione delle tendenze del settore. In realtà chi fa la birra deve poi venderla e dunque confrontarsi continuamente con quelle che sono le richieste del mercato. Richieste che naturalmente arrivano dai consumatori, ma anche da distributori ed esercenti. Questa influenza può diventare più o meno pressante in base al carattere e alle scelte del birraio: c’è chi continuerà semplicemente a fare la birra che preferisce e chi invece si piegherà continuamente alle sollecitudini della filiera. Attenzione perché non è detto che il primo tipo di birraio fallirà e il secondo otterrà successo: fare birra artigianale significa realizzare un prodotto di carattere, che inevitabilmente rispecchierà quello del suo birraio. Siate pur certi che una birra anonima e priva di mordente sarà destinata a rivelarsi un flop, nonostante la sua ricetta ricalchi le mode del momento.
Torniamo al trend delle birre amare, che è abbastanza conosciuto ed evidente nell’ambiente. Negli ultimi anni tantissimi birrifici hanno sfornato birre extra luppolate e stanno continuando a farlo tuttora. In questo marasma il livello medio a mio parere piuttosto deludente e sono pochi i prodotti in grado di emergere dalla massa. In molti casi i birrai si sono trovati quasi obbligati a produrre birre luppolate, per andare incontro alle richieste del mercato (o presunte tali). Birre amare a parte, mi sembra che molto spesso tanti birrai siano più concentrati sulle voci del settore che sulle proprie ricette, preoccupati da ogni piccola variazione (o, ancora, presunta tale) dei giudizi dell’ambiente.
Esercente
All’inizio dicevamo che il mercato è ancora giovane e che i consumatori non possiedono un gusto completamente formato. In pochi conoscono tutto ciò che la birra artigianale ha da offrire loro, mentre la gran parte dei bevitori è priva di nozioni. È dunque evidente che in questa situazione chi vende la birra al dettaglio gioca un ruolo fondamentale, tanto al pub quanto nel beershop. È in una posizione di grande responsabilità, perché è in primis dal bancone della propria attività che si fa cultura birraria. Però possiede anche un’arma non indifferente, che è quella di guidare la scelta – e quindi il gusto – dei suoi clienti. Scegliere una birra piuttosto che un’altra, dare spazio a determinati prodotti invece che ad altri: sono tutte decisioni con grandi ripercussioni per il discorso che stiamo portando avanti.
Anche in questo caso il carattere dell’esercente è fondamentale, soprattutto quando la sua selezione non è forzata da accordi con distributori o altri soggetti. C’è chi si limita a seguire determinate mode (anche magari per conoscenze limitate del prodotto) e chi invece preferisce orientarsi su qualcosa di diverso, che spesso è ciò che apprezza più che ciò che va per la maggiore. La sua è una posizione di mezzo e per questa importantissima: è colui che in ultimo dovrà vendere la birra realizzata dal birraio e colui che potrà influenzare la scelta del cliente. Non è un semplice esecutore, uno che si limita a fare da asettico anello di congiunzione tra produttore e consumatore. Ha invece una funzione attiva e spesso decisiva e rappresenta, a mio modo di vedere, ciò che è l’opinion leader nella teoria del two-step flow of communication di Lazarsfeld (sì ho studiato sociologia all’università 🙂 ):
[…] il messaggio prodotto dai media (primo livello del flusso di comunicazione), viene “filtrato” dai rapporti interpersonali che si instaurano tra gli individui (e tra essi e i leader) e viene dunque rimandato a un secondo livello.
È un modello sociologico che è stato criticato perché considera l’individuo come passivo ricevitore e a ben vedere la stessa obiezione può essere mossa a quanto ho scritto per la birra. In realtà il consumatore non è passivo: anche se il suo gusto ancora non è formato, sarà lui a decretare il successo ultimo di una moda. Le birra extra luppolate si sono consolidate perché l’amaro è stato accettato e compreso dai consumatori, che spesso lo hanno identificato (in maniera più o meno corretta) con l’elemento distintivo rispetto alle produzioni delle multinazionali. Lo stesso vale, ad esempio, per l’industria cinematografica: di tanto in tanto se ne riescono fuori con l’idea del 3d, ma è una tecnologia che incontra così poco i favori del pubblico che ogni volta è costretta a fallire.
Distributore
Di tutte le figure finora analizzate, quella del distributore è la più oscura perché tende a rimanere in un interstizio poco illuminato. In altre parole, la sua funzione è così altamente specializzata che è difficile conoscerne le implicazioni a meno di non operare nel settore. Se tu sei un consumatore (quindi un soggetto non professionale), avrai modo di confrontarti facilmente con la posizione di altri consumatori (perché identica alla tua), dell’esercente (perché con lui hai un rapporto diretto) o del birraio (perché è colui “che fa la birra”). Il distributore invece si trova in una posizione intermedia simile a quella dell’esercente, ma che a differenza di quest’ultimo non appare evidente all’esterno.
In realtà il suo peso nella determinazione delle tendenze del settore può essere davvero rilevante e, in diverse occasioni, superare quella di tutti gli altri soggetti. Rispetto a tutte le altre figure qui la scelta è determinata più da valutazioni commerciali che di gusto personale – gusto inteso in senso più stretto, ovviamente.
In conclusione tutti i soggetti menzionati concorrono a determinare i trend della birra artigianale in Italia. Chi a prima vista sembra avere una posizione privilegiata (produttore e consumatore) in realtà è spesso influenzato da chi opera in punti intermedi della filiera (distributore ed esercente). L’importanza del consumatore crescerà con lo sviluppo del mercato nazionale, fermo restando che il suo ruolo è già decisivo nel consolidamento di determinate tendenze. Il ruolo del birraio invece appare ridimensionato e spogliato della sua aura più romantica: in realtà è lui a creare la birra e dovrebbe farlo seguendo in primis le sue idee.
Siete d’accordo con la mia analisi? O la pensate diversamente?
Analisi perfetta. In Puglia c’è la nota azienda “Cippone & Di Bitetto” (che distribuisce, tra le altre, le birre Toccalmatto e Grado Plato a prezzi improponibili) che opera di fatto in regime di monopolio. La triste conseguenza è che nella stragrande maggioranza dei locali pugliesi il consumatore è costretto a constatare che marchi e prodotti offerti sono praticamente sempre gli stessi. Una politica commerciale di questo tipo sarà pure remunerativa per chi la pone in essere, ma appiattisce paurosamente il mercato e limita fortemente la scelta di ogni consumatore!
Concordo in pieno con la tua analisi.
Non capisco nulla di sociologia, ma ritengo che tra questi livelli si muovano trasversalmente comunicazione e marketing, entrambi sempre più social.
Spesso esercenti e distributori oltre a vendere si vendono, mettendo in un angolo prodotti buoni ma non blasonati e privilegiando ciò che tira di più.
Una volta che la birra arriva al pub, il gioco è fatto…frottole ed etichette e…se bevono tutto.
Penso che gruppi di birrai dovrebbero investire nella distribuzione per cercare di realizzarla in proprio e rompere queste posizioni che si creano nel mercato,che hanno come risultato margini bassi per i birrai, prezzi alti per i consumatori e potere e margine a grossi gruppi di distribuzione. Forse ci sono già iniziative e mi piacerebbe conoscerle…selezione baladin è stata a mio avviso un grande esempio nel modo di affrontare nodi critici.
Personalmente conosco troppo poco quest’aspetto e mi piacerebbe collaborare e condividere ipotetiche e possibili soluzioni con altri
Concordo, sarebbe la soluzione migliore. Margini più alti per i birrifici e prezzi più bassi per i consumatori. Il problema eventualmente sarebbe la capillarità di queste reti.
Chi si sta muovendo in questo senso ?
Perfettamente d’accordo con la tua analisi e in particolare col ruolo sempre più importante da affidare agli esercenti. In quest’ottica sarebbe bello che l’intermediazione non ci fosse affatto. Gli esercenti appassionati possono essere il vero collante tra i produttori e i consumatori, segnalando ai primi gli stili ad elevato consumo e guidando i secondi verso la scelta che più rispecchia quello che si cerca in una birra di qualità. Quanto ai prezzi è ancora triste notare di dover pagare di più una birra fatta a pochi passi dal pub rispetto a una importata dagli Stati Uniti. Solo la crescita del settore e del consumo consapevole possono fare la differenza per superare quest’apparentemente insormontabile barriera.
il distributore purtroppo è spesso determinante. ce n’è ad esempio uno molto importante, che ha nella sua scuderia, in esclusiva, produttori di primissimo piano del mondo artigianale italiano oltre a tanti prodotti industriali e che pone spesso condizioni inaccettabili agli esercenti che sono interessati solamente al settore artigianale, o che, nel migliore dei casi, scoraggia nel seguire questa linea
in accordo con l’analisi dell’articolo. mi permetto, ancora una volta, di porre l’accento sulla questione pugliese..magari risultando tediante..ma è la realtà che vivo e che posso raccontare (x fortuna o x sfortuna non lo so ancora)..leggo dai commenti che ce ne sono diversi di conterranei e possono confermare..magari fanno parte dei diversi livelli evidenziati nell’articolo. io faccio parte del livello consumatore…non mi ritengo un guru della birra anzi per me ogni bottiglia stappata mi insegna qualcosa di nuovo e ogni parola scambiata con altri appassionati è un momento di crescita. di tutti i livelli l’esercente ha un ruolo fondamentale come giustamente avete detto tutti voi. Mai professore, sempre alunno. Qui nel foggiano la cosa è amplificata. Il 95% (sono stato buono) degli esercenti si barcamena ancora al di là del bancone consigliando la rossa, la bionda e la doppio malto. in un contesto come quello italiano (e ancor più pugliese) nel quale come detto dall’articolo il consumatore è ancora nella fase embrionale della formazione del gusto e delle preferenze birrarie, un comportamento simile non solo non fa crescere il consumatore ma inevitabilmente fa sì che l’esercente stesso sia “piegato” a ciò che passa il convento…in questo caso il distributore. Come diceva Manvi gli esercenti appassionati e, aggiungo io, competenti sono il collante tra birraio e consumatore e possono far passare in secondo piano il distributore che seppur occupa un posto di rilevanza lungo la filiera, dovrebbe “piegarsi” ai voleri del mercato, inteso come esercente+consumatore.
concordo con la tua analisi
La riflessione è azzeccata, ed il tema trattato molto importante. Credo il contributo delle scienze possa aumentare la validità e lo spessore delle parole, ma basta riflettere due minuti (con la birra in mano) a quello che succede in un pub in una serata qualunque. Siamo tutti strettamente correlati (detto così suona minaccioso). L’ideale sarebbe che ciascuno perseguisse il proprio gusto, ma così non fosse non ci sarebbe un mercato, senza mercato la domanda, quindi il prodotto e il soldo (residui di economia). é un giro vorticoso di pensieri, idee e riflessioni. Beviamoci su!
la svolta potrebbe essere distributori dedicati esclusivamente alla birra artigianale formati e capaci di formare ed informare e nn semplici venditori di un prodotto che sta vivendo il suo momento di gloria ,non avendo questi presupposti penso sia destinato a morire