Perché succedono cose come questa. Quasi un mese fa Beernews ha pubblicato un comunicato proveniente dal birrificio Goose Island, con il quale l’azienda annunciava il volontario ritiro dal mercato di alcune bottiglie della loro Matilda, una Belgian Ale da 7% alc. Il fatto curioso è che la decisione, già di per sé inconsueta per le nostre abitudini, non è stata presa per ragioni di massima gravità – come ad esempio un rischio per la salute dei consumatori – ma semplicemente per un discorso di standard qualitativi. In pratica alcuni lotti sono risultati non ottimali, da qui la scelta della Goose Island di ritirare le bottiglie.
Nel comunicato del birrificio viene anche spiegato nel dettaglio il problema riscontrato:
Produciamo la Matilda con l’impiego di brettanomiceti, che sono fondamentali nello sviluppo dei complessi aromi della birra. I brett contribuiscono in modo naturale all’acidità presente nella Matilda, che regala al prodotto un finale lievemente acido. I lotti incriminati, oltre ai brett, presentano dei lattobacilli, che hanno aggiunto un livello di acidità oltre gli standard previsti. I lattobacilli, così come i brettanomiceti, sono comuni in molte Belgian Ale. […]
Gli standard della Goose Island per la Matilda non prevedono acidità prodotta da lattobacilli. In seguito a quanto accaduto, abbiamo implementato test qualitativi aggiuntivi per assicurarci che non ricapiti la stessa cosa con future cotte di Matilda.
Ci scusiamo per aver lanciato sul mercato questi lotti e stiamo lavorando con i nostri distributori per rimuovere le bottiglie dai negozi. […] Apprezziamo profondamente la fiducia che avete accordato a Goose Island e vi ringraziamo per il vostro supporto.
Beh, tanto di cappello alla Goose Island per la decisione presa, che per la cronaca ha coinvolto i lotti imbottigliati in sei date successive, dal 1 aprile al 21 maggio 2010. Scelta aziendale non nuova per i birrifici americani, al punto che solo qualche tempo prima anche la Bell’s Brewery aveva optato per un simile provvedimento. Anche in quel caso non c’era alcun problema di salute per gli acquirenti, ma una semplice constatazione a livello qualitativo: secondo il birrificio alcuni lotti della Two Hearted Ale risultavano “acidi e sgradevoli”. Analogamente non mancarono le scuse dell’azienda e l’annuncio di maggiori controlli in futuro.
Come accennato, si tratta di politiche quasi incomprensibili se paragonate a realtà come la nostra. Di base c’è un grandissimo rispetto per il consumatore, che in definitiva è colui che permette a un’azienda di sopravvivere o di prosperare. Pur di mantenere la fiducia dei clienti e di non perdere punti ai loro occhi, un birrificio arriva a ritirare diverse bottiglie dal mercato, consapevole che il ritorno di immagine di simili decisioni è mille volte superiore alla perdita economica per alcuni lotti invenduti.
Fin troppo facile fare ironia chiedendosi cosa sarebbe successo in Italia se un birrificio si fosse trovato nelle stesse condizioni della Goose Island. Un indizio si può trovare nel primo commento al post di Beernews, dove un lettore scrive (spero ironicamente):
Bene, sembra proprio che dovrò acquistare qualcuna delle bottiglie difettose. Potrebbe essere una “speciale” aggiunta alla birra piuttosto che un problema… almeno per me 🙂
Qualcuno penserà davvero che alla Goose Island hanno perso l’occasione di lanciare una Matilda Sour Edition in edizione limitatissima. Sì d’accordo, sono sarcastico, ma neanche troppo 😉 .
Bisogna anche dire pero’ che per un operazione di questo tipo alla base non c’e’ solo il rispetto verso consumatore, ma anche una base economica solida.
In Italia quale birrificio si puo’ permettere, senza rischiare il collasso finanziario, un operazione di questo tipo?
…… e che collassino pure, se fanno birre di qualità non elevata a questi costi. Quasi una su 2 italiane hanno evidenti o lievi (per chi sa percepire) difetti di produzione.
@Dario
Quella della solidità economica non mi sembra un’obiezione valida. Oppure quando sborsi TOT euro per una bottiglia infetta sei contento perché non affossi l’economia del birrificio di turno?
Non credo che qualche lotto ritirato dal mercato possa devastare l’economia di un’azienda, ma più che altro si tratta di un diverso approccio culturale, non limitato soltanto al settore birrario
Comunque per non eccedere in altro senso, bisogna sottolineare che il difetto che ha costretto la Goose Island al ritiro delle bottiglie (così come negli altri casi) era estremamente evidente: si parla di un livello di acidità oltre gli standard, quindi siamo ben lontani da “lievi difetti”, che entro certi limiti sono un fattore inevitabile in produzioni artigianali
In questo caso più che di grande nazione si deve parlare di grandi professionisti.
Ecco, forse dovremmo cominciare a idolatrare meno alcuni pseudo-geni e pseudo-fenomeni che abbiamo in Italia, molto rispettosi del quattrino e poco del cliente che li fa campare, e che li ha sottratti all’odioso destino della zappa.
L’augurio è che tutti gli imprenditori birrari italiani leggano bene questo commento apparso su un forum USA in relazione alla vicenda narrata:
Today’s craft beer drinker is incredibly well-networked and informed. To try and sweep QC problems under the carpet, as has been historically done in the industry, would be a disaster.
Con l’ultima tua considerazione, caro Presidente, mi hai tolto le parole dalle dita…Un pò di birrai europei dovrebbero prendere esempio, altro che “sour version”! Anche qualche consumatore dovrebbe riflettere, con la consapevolezza che il proprio fegato è spesso preso per il c*** e usato come pattumiera per cotte andate a baldracche…
…E se magari fosse stata bona comunque???
@colonna
Eh sì, purtroppo non è un malcostume solo nostro. Anzi, forse l’eccezione sono proprio gli Stati Uniti
Goose Island e’ di proprieta’ per il 35 % di anheuser Bush…occhio a chiamrlo craft…ed infatti e’ uscito dalla BA.
@Sandros
Sì, corretto. Però secondo me il discorso non cambia, anche perché stiamo parlando di una birra molto particolare, prodotta con brettanomiceti, e non di una lager industriale (che è esente da problemi come quelli descritti, condoglianze). Se la quota posseduta da AB-Inbev fosse stata del 10% in meno, la Goose Island sarebbe rimasta nella BA.
In Italia ci son certi birrai che buttano dentro le bottiglie e dentro i fusti delle birre imbevibili (NON che lievi difetti). Il problema è saperlo riconoscere, togliere e risarcire il lotto a tutti i passaggi successivi, quindi sia a chi le rivende (che può sostituirle immediatamente gratis) che al consumatore finale. Poi c’è anche chi ci crea business (non solo in italia) ma come dico io finchè ci son i “fessi” che se le comprano (sia publican che bevitori) loro continuano (occhio al fegato come dice giustamente er colonna)…parecchi locali (compresi noi con le bottiglie) siamo li a bere ogni volta e a controllare che tutto vada bene e a NON vendere se NON buono, ma tornado in tema, NON tutti sanno tirar via qualcosa venuto male. Bisogna solo che imparare!
mi trovo in pieno accordo con “i am hoppy”. La situazione italiana è sempre più deludente, ci si trova oramai più spesso a bere bottiglie difettate che bottiglie in forma. Viva la autoproduzione!
A parte che negli USA ci sono le class action e quindi le aziende ci pensano due volte prima di buttar fuori, non tanto robaccia, ma prodotti “non conformi”.
In ogni caso, ma di che ci lamentiamo? Diamo a questi birrifici le cinque stelle in tutte le guide, organizziamo i concorsi di HB da loro, li chiamiamo a far lezione nei corsi e nei seminari e li premiamo in mille concorsi; fanno solo che bene a darci da bere le “sour edition” o a ripassare in botte le porcherie.
@mirko: “parecchi locali (compresi noi con le bottiglie) siamo li a bere ogni volta e a controllare che tutto vada bene” è quello che dico sempre a mia moglie quando mi accusa di bere troppo 😉
@komu & I am hoppy: non mi trovate assolutamente d’accordo, sto assaggiando parecchie produzioni italiane (tanto per rimanere in tema con Mirko) e trovo un grandissimo incremento nella continuità di parecchi birrifici, prova birre di Montegioco, Bi-Du, Toccalmatto, San Paolo, Pausa Caffè, Loverbeer, Lambrate, Rurale, oltre ai soliti noti, gente che comunque quando fa sour ales (Renzo Losi, Riccardino, Valterone) le fa sul serio e non prende in giro il consumatore…Io non trovo prodotti così scadenti, anzi, sono soprattutto così variegati da accontentare ogni palato. Al di là del gusto penso che in Italia ci sia invece una grande crescita nel prodotto “pulito”, come è riconosciuto da degustatori esteri. Credo che di base ci sia ancora una scarsa conoscenza del prodotto nostrano, mentre da Mikkeller e soci siamo sempre pronti a farci inc****… A me capitò, come compratore, ovvio.
@amarillo:…E comunque penso che un concorso HB organizzato (tiro uno a caso) da Leonardo del Borgo, sicuramente farebbe bene, ma MOLTO bene a qualsiasi homebrewer. Sulle cinque stelle possiamo anche discuterne (sulle sour ales ho già detto la mia), ma sulla competenza di alcuni di loro no, almeno se parli di corsi o quant’altro.
Come non dar ragione anche ad Amarillo….
Certo colonna hai fatto i nomi di quelli “dritti” (anche se ho provato interi lotti di Pausa Caffè andati) e a cui possiamo aggiungere forse altri come birrificio italiano, orso verde, ecc…ma ti assicuro che ci sono molti altri anche pluripremiati che distano abbastanza dal livello minimo di costanza che dovrebbero avere…
Grande amarillo.
Tanto basta un “non è molto in forma” del mastro birraio e tutto è perdonato
Mah su certi discorsi si fa presto a fare qualunquismo. Fermo restando che la costanza di qualità è uno dei limiti del movimento italiano, resta il fatto che anche io come Colonna ho rilevato grandi passi avanti da questo punto di vista: alle ultime manifestazioni alle quali ho partecipato mi sembra che la situazione fosse molto meno tragica che in passato
@Turco
Non metto in dubbio che il gesto di ritirare la merce non corretta e’ straordinario…pero’ se tu guardi i sell out di goose island vedi che nell’ultimo anno si sono concentrati sulla vendita di due prodotti in particolare che sono poi i piu’ banali!!!! Quindi non mi sentirei di vedere la mentalita’ craft in quei birrifici…per quanto e’ impensabile per la nostra mentalita’ che un birrificio posseduto da un industria produca una birra con bretta.
@tutti gli altri
E ai birrifici italiani date ancora un po’ di tempo la crescita in volume e qualita’ e’ costante…e quando la fruibilita’ sara’ piu’ diffuse penso cambieranno molte prospettive!! E’ ovvio che pian piano assisteremo all’umento di tecnologia, di tecnica e di preparazione dei birrai…come in tutte le nazioni birraie che si rispettino…
OT : dal 1° luglio Baladin ha aumentato le proprie birre di 50 cent minimo, nel formato da cl.75. Dov’è finita la logica che un incremento di produzione porta a ridurre il prezzo al mercato ? Bah…
Io sono dell’opinione che bisogna dare la possibilità a tutti di fare e vendere birra…ma se non è a posto me la cambi e basta. Senza troppe discussioni, d’altronde è un tuo prodotto e quindi ne rispondi direttamente. La gente che paga 8 euro se lo merita o no? D’altronde è il cliente che da i soldi al birrificio altrimenti dovrebbero cambiar lavoro…
Nulla toglie alle piccole e grandi aziende come segno di grande responsabilità richiamare un prodotto non conforme alle loro aspettative. E’ sempre più frequente, ahimè, soprattutto in campo automobilistico e motociclistico (vedi Toyota, Lexus, Bmw, etc.), ed elettronico (Nokia, Philips, etc) fare azioni di richiamo a prodotti difettosi, e meno male visto che si rischia a volte la vita. Purtroppo in campo birrario, ma vale anche per altri campi enogastronomici, non capita spesso che il cliente ti dica che quella birra, formaggio, vino, presenta difetti, e personalmente non assaggio sempre tutte le birre che entrano nel mio negozio, ma vuoi per esperienza e fiducia nel produttore, cerco di proporre prodotti che reputo validi.
Da qui si evidenziano i seguenti problemi, riconducibili sempre alla responsabilità di ognuno. Finchè il cliente non mi segnala un problema, se non ho altre possibilità di eseguire verifiche a campione, difficilmente il difetto verrà fuori. La preparazione di chi vende qualsiasi prodotto, è basilare; è inutile proporre un culatello di Zibello, un Cabrales, una Cantillon, etc. se non li si conosce. Invece il produttore ha la responsabilità di verificare/monitorare il proprio operato e di conseguenza richiamare un prodotto che non rispetta determinati parametri di qualità.
Ben vengano allora richiami da piccole e/o grandi aziende quando il prodotto non risponde alle aspettative!
Salute e saluti
Mirko è l’unico che ha colto nel segno: se pago una birra 8 euro (quando le trovo a questi prezzi), mi aspetto una qualità eccellente. Personalmente ho pagato anche birre 10 euri ed erano acide non da bretta, che anche mia filgia di 10 anni se ne accorgeva. Ecco il punto: non puoi uscire sul mercato a quei prezzi se non sei in grado di garantire una qualità costantemente eccelsa (a mio parere non devi uscire a quei prezzi nemmeno se la puoi garantire, ma questo è un altro discorso).
Ho bevuto vagonate di Sierra Nevada e anche delle tanto odiate Mikkeller (caro Colonna), ma MAI UNA SOLA è risultata infetta. E non partite con le solite cose, tipo: e vabbè, ma Sierra Nevada è un colosso, Mikkeller ci prende per il culo e bla bla, altrimenti nascondiamo un problema che c’è e che il movimento si deve porre.
@Credo sia un dovere dei micro cambiare le birre difettose. D’altro canto il consumatore ha molte più armi di quanto si pensi…una denuncia all’autorità giudiziaria…ed è presto fatto. Poi ci proveranno i Soloni a spiegare caratteristiche e peculiarità all’autorità………..
@i am hoppy
mi trovi d’accordo col tuo ragionamento, del resto è ormai qualche anno che prendiamo per i fondelli chi rimette sul mercato cotte andate, e se comunque c’è questa possibilità di fuga per un birraio bisognerebbe interrogarsi sulle capacità ricettive di chi le compra…Siamo tutti d’accordo sul fatto ce le “sour edition” vanno come un treno, no? E hai tutto il diritto di lamentarti se trovi una birra non a posto, però per uno che si lamenta ne trovi 100 che addirittura la osannano…
E poi torniamo sugli italiani, ma quanti birrifici ottimi pensate che ci siano in Scandinavia? Molti di quelli osannati in patria fanno c*gate assurde, noi ormai abbiamo più birrifici del Belgio, e anch’io vorrei vederne un 80% al rogo, ma credo che i birrifici di punta abbiano raggiunto una qualità eccelsa, poi sul prezzo è un altro discorso. Già trovare un 10% della produzione ad alti livelli (il resto è seguire la moda, ma anche lì se molti birrifici osceni sopravvivono e pure bene, una domandina sul perchè sopravvivano c’è da farsela) significa trovare 20 e passa birrifici ottimi, mi pare un buon numero.
Mikkeller non fa una birra non a posto? Certamente, le fanno quelli del De Proef, andiamo ad analizzare chi si sporca veramente le mani…Lì è un altro discorso, ma le analogie con le prese per i fondelli delle “sour ales” ci sono eccome…E da venditore ci metto pure il fatto che quando era Mike a fargliele alla GB per lui i costi di produzione erano ALTISSIMI e le sue birre costavano un ecatombe, ora in Belgio i costi per lui sono dimezzati ma le birre costano forse più di prima. Le sue birre piacciono molto anche a me, ma non mi piace una filosofia di fondo che non ritengo corretta. Informarsi sulla realtà dei fatti (e non per sentito dire) aiuterebbe meglio a farsi un parere.
Il punto è che da MOLTO tempo il mercato birraio è diventato una barzelletta, e il mercato lo fanno i consumatori…E’ così facile prenderli per il c*lo???
Abbiamo cotte andate vendute come “sour ales”, botti che lavorano al posto di birrai, birrai che lavorano al posto di pseudo birrai, birrifici che manco esistono, birre rietichettate, birrai che non sanno farsi manco un piatto di pasta…Però vendono un casino…Bah!
Direi che abbiamo perfettamente inquadrato il problema. E non venitemi a dire che i prezzi col passare del tempo e conseguente ammortizzamento dei costi di impianto si abbasseranno…non si è mai visto! E Baladin ne è l’esempio
@colonna
e’ comunque la tendenza del momento…per cui e’ normale che ci siano tante prese per il culo cosi’ come cose di valore, ma poi sta a noi consumatori scegliere…il fatto e’ che il famolo strano va di moda. Pero’ non direi che il mercato e’ diventato una barzelletta, e’ la sua normale crescita. Nella birra alla fine c’e’ una liberta’ di produzione incredibile, le variabili da mettere in gioco sono notevoli…e poi non e’ un male se si usano le botti oppure se utilizzano tecniche nuove di produzione…io sarei meno sul chi va la. Alla fine per un birraio recuperare cotte andate e riuscire ad ottenere prodotti con caratteristiche interessanti non e’ un male, anzi diventa il modo per ottenere dei risultati straordinari…vedi la panil barrique sour…secondo me e’ un capolavoro e sicuramente ha delle caratteristiche molto flemish. Chi ha assaggiato la prima edizione che era la versione mild attuale parliamo del 2003 (periodo in cui le botti si usavano ancora non troppo) la birra era interessante, ma non come la panil.
Poi alla fine ogni birraio e’ responsabile della propria produzione…e conoscendo il belgio penso che certe volte la denuncia la meriterebbero i birrai belgi che di fronti ad infezioni manifeste dichiaravano no era un luppolo con caratteristiche differenti!!! Vi cito anche l’autore che e’ il mitico e straordinario Kris Herteler dove allo Zythos di 2008 aveva un’ Arabier a dir poco pietosa…eppure se la vendeva anche al proprio cafe’…questo la dice lunga eppure e’ uno dei piu’ bravi…a sto punto se il prodotto e’ interessante meglio un’etichetta sour ale piuttosto che deviare il consumatore…
@sandros
Sì, ricordo quella Arabier così triste…Del resto dovresti ricordare anche le bottiglie di Serafijn Grand Cru clamorosamente brettate che ci siamo scolati gridando al capolavoro, gran birra ma certamente non era nelle intenzioni del birraio farla…Però abbiam goduto quella volta.
Come del resto rimango esterefatto di fronte a un bicchiere della Tosta Sour alla spina (capolavoro assoluto, grazie Andrea), non chiedendomi certamente cosa ci sia dietro, perchè in quel momento c’è solo goduria e sono d’accordo che anche da uno sbaglio può nascere una grande birra, il problema (fin qui soltanto etico e opinabile) è quando dietro questi prodotti vengono effettuate vere e proprie rapine, con prodotti dalla discutibile provenienza che vengono venduti a prezzi anche molto alti. Ed è un problema certamente non solo italiano.
Ovviamente ben vengano botti e tecniche nuove, quello che voglio intendere è che (come sottolinei anche tu) tutto il mondo è paese, qua sento che si punta il dito solo sull’Italia, quando invece parecchi dei nostri birrai fanno della sperimentazione un cavallo di battaglia, che bere una Mummia, una Martina, una Tosta Sour o una Duchessic (e perchè no, una Nora Sour…ma voi l’avete mai bevuta???) diventa un piacere che ben pochi birrai esteri riescono ad eguagliare. D’altro canto è GIUSTISSIMO puntare il dito su chi manda in giro cotte andate; chi vende con criterio le stacca dalle spine o ritira le bottiglie dagli scaffali, ma i canali di vendita ormai consentono al produttore di arrivare dovunque, visto che cari distributori piazzano le birre pure dal salumiere che vende tavernello, pur di avere un ricavo.
Questo perchè non c’è educazione nel consumatore, che dovrebbe essere giudice finale, e nessuno ha pensato mai ad educarlo (qualcuno dice che nell’ignoranza si stia meglio). Pensate che a qualcuno freghi qualcosa se quattro gatti su un forum denunciano una cotta andata o quattro pub gliela riportano indietro? Ormai la birra artiganale ha un mercato che và ben oltre, altrimenti non mi spiego come chi fa birra che puzza di cane morto sotto una pioggia battente (senza fare nomi) ha anche un locale sempre pieno…
perchè allora la borriglia di vino che sa di tappo viene mandata indietro e quella di birra no?
Iniziamo a fare corsi sui difetti! Stressiamo l’argomento.
@ Komu
.. forse perchè l’ ignoranza che affibbiamo a tanti consumatori è molto diffusa anche tra tanti pubblican o rivenditori improvvisati vedi il salumiere citato da Colonna.
Salve sono un salumiere 🙂
@colonna
vogliamo il nome di chi produce birra con quella puzza caratteristica…ti prego!
Anche se pensandoci ho qualche idea
@colonna
La Serafijn Grand Cru di quell’occasione era il succo del mio discorso…sono d’accordo che il birraio non l’aveva pensata…ma era pazzesca…sicuramente nessun altra bottiglia di Serafijn Grand Cru sara’ mai stata come quella…probabilmente irripetibile, ma proprio per questo anche piu’ interessante. Alla fine tutti noi siamo deviati dal concetto di ripetibilita’ e dal concetto di qualita’ costante del prodotto e ne e’ diventata un ossessione per ogni birraio e consumatore attento. Questo pero’ se ci riflettiamo e ci porta ad avere una concezione “industriale” e non piu’ artigianale. Ovviamente non difendo la presenza di prodotti che hanno perso la loro bevibilita’ e con chiari difetti, ma sostanzialmente dico che bisogna assaggiare una bottiglia con l’entusiasmo e la curiosita’ della prima volta, senza necessariamente dover essere pronti a condannare solo per l’etichetta. Avere un approccio rispettoso nei confronti di un prodotto vivo e valutarne la variabilita’ ne da una misura anche di come puo’ cambiare una birra da fermentazione a fermentazione.
Poi una cosa che non condivido ovviamente non riferita a te colonna, ma ad un andamento generale che si legge tra tutti noi appassionati italiani e’ la pubblica e continua denuncia di trovata di marketing di fronte a nuove e bizzarre birre. Io credo che il birraio sia un po’ come un cuoco e un po’ come un bambino…cuoco perche’ ci tiene a creare sempre ricette nuove ed abbinamenti insoliti e bambino perche’ ama anche giocare. E come tale non tutte le ricette sono straordinarie, ma sicuramente molte sono interessanti…
@Sandros
Ti quoto su tutto, le Serafijn tra l’altro sono ancora là e stapparsene un’altra sarebbe d’obbligo!!!
Sull’ultima parte condivido, ma mi devi venire incontro quando si vedono in giro birrai che non sono birrai, che invece di divertirsi creando (e qua stimolerei molti detrattori a farsi un giro per l’Italia andando a conoscere tanti di questi veri “bambinoni”, ne rimarreste sorpresi e soprattutto soddisfatti) e sperimentando, seguono l’onda del momento tirando fuori prodotti che spesso non bevono manco loro. Mi piacerebbe più consapevolezza da parte soprattutto di chi beve!
Ah, poi ho dimenticato il vero succo: io vendo anche quello che mi avanza da bere. D’accordissimo sul godere su (riprendo esempio) quella Serafijn Gran Cru, ma ci penserei quattro volte prima di venderla a qualcuno, non mi sembrerebbe corretto (o no?!?). Giusto farla assaggiare e discuterne insieme…Ma non so, non so se il discorso di venderla sarebbe corretto. Qua come ci poniamo? E dire che il mercato attuale ci porrebbe tante volte di fronte a questo quesito…