Parallelamente al mercato della birra artigianale ne esiste un altro molto più underground: quello dei prodotti gastronomici ottenuti dalla lavorazione della birra finita, dai suoi scarti di produzione o dai suoi ingredienti. Il caso più comune è rappresentato dai distillati ottenuti dalla nostra bevanda, un fenomeno che è cresciuto negli anni e che oggi coinvolge, con diversi esempi, anche l’Italia. Nel lontano 2009 ne parlai proprio su Cronache di Birra, concentrandomi su alcune creazioni provenienti dal Belgio e dagli Stati Uniti. All’epoca citai Spirit d’Armand di 3 Fonteinen (nato per limitare i danni causati dall’incidente che nello stesso anno colpì il birrificio fiammingo), Chouffe Coffee, Duvel Distilled e i gin di Dogfish Head e Rogue. Nel frattempo il panorama si è allargato sia geograficamente, sia nella tipologia di prodotti realizzati partendo (direttamente o meno) dalla birra.
Una delle novità più interessanti che mi è capitato di incrociare negli ultimi tempi è il liquore al luppolo. Tutto è partito dall’idea di Edoardo Meloni, che dopo una lunga esperienza come homebrewer ha deciso non di aprire un birrificio, bensì un liquorificio: così è nata l’azienda Meloni Liquori (sito web), attiva da pochissime settimane a Roma. Una scelta giunta non per caso, visto che nel 1910 il bisnonno creò e brevettò la Genziana Damia (tipica abruzzese), che ora Edoardo ha deciso di riproporre sul mercato. Ma chiaramente sono i liquori al luppolo a interessare noi appassionati di birra: al momento sono disponibili quattro prodotti rientranti in questa categoria, tutti con la stessa gradazione alcolica e identico livello d’amaro, ma diversa varietà di luppolo impiegata. Sono praticamente la rivisitazione in forma di liquore delle linee single hop dei moderni microbirrifici. Ne ho assaggiato uno a Fermentazioni e devo ammettere che è davvero interessante.
Due prodotti di cui si sente poco parlare, almeno alle nostre latitudini, sono gli aceti di birra e di malto. In Italia e Francia è ovviamente diffuso quello di vino, ma è nelle nazioni a maggiore vocazione brassicola (come Germania, Austria e Paesi Bassi) che non è difficile trovare questi suoi strani “cugini”. Come riporta un vecchio articolo del Giornale della Birra, l’aceto di malto ha origine da un mosto simile a quello base per la birrificazione, ma privo di luppolo. Dopo la fermentazione alcolica, viene permesso agli Acetobacter di ossidare l’etanolo e trasformare l’alcol in acido acetico; quindi il risultato del processo subisce un periodo di affinamento prima di entrare in commercio.
Più costoso, ma anche più aromatico, è l’aceto di birra, che si produce partendo dal prodotto finale mantenuto a contatto con l’aria all’interno di acetaie. In questo caso l’affinamento è più lungo e la presenza del luppolo ne amplifica lo spettro aromatico, aggiungendovi sfumature particolari. Come l’aceto di vino, anche quelli derivanti da malto e birra sono impiegati come condimento: ad esempio inglesi e americani usano l’aceto di malto con fish and chips, tacos e kimchi.
Tornando sui distillati di birra, nel 2009 sottolineavo come gli esperimenti italiani all’epoca fossero davvero pochi. Difficile credere le cose non siano cambiate dopo oltre 7 anni, e infatti oggi non siamo a livelli di imbarazzo della scelta, ma quasi. Addirittura c’è chi ha iniziato a coinvolgere – in realtà lo fa già da alcuni anni – i microbirrifici italiani per la creazione di distillati ad hoc. È il caso della Distilleria De Marco, che da tempo porta avanti alcune partnership con importanti birrifici italiani per la creazione dei suoi prodotti alla birra.
Ma sono gli stessi birrifici ad essersi lanciati in questo business, ammesso che rappresenti un mercato realmente redditizio. Il birrificio Birradamare ha in catalogo ben quattro distillati creati partendo da Weisse, Raaf e Rossa (con quest’ultima ne realizza due), mentre Birrone non perde occasione per far assaggiare i suoi distillati nei festival a cui partecipa regolarmente. Due sono quelli a marchio Baladin: l’Esprit Baladin prevede un dry hopping di luppolo italiano in fiore, l’Esprit de Nöel invece parte dalla distillazione di una birra (presumo la Noel) del 2011, lasciata riposare a lungo in botti di rovere. Due anche i distillati a marchio L’Olmaia, realizzati dalla microdistilleria Alboni di Colle Val D’Elsa: il classico e il barricato. Comunque ormai di esempi se ne trovano tanti anche in Italia e potrei andare avanti a elencarli per ore.
Personalmente ho avuto a casa una bottiglia di acquavite di Birra Colonne, che il produttore lombardo ha creato con la distilleria Mazzetti d’Altavilla. Per chi ama questi superalcolici, devo dire che il risultato è molto intrigante e come in ogni tipo di collaborazione fondamentale è la qualità del proprio interlocutore. Se il risultato è valido – indipendentemente dal tipo di prodotto finale – l’anima birraria sarà rintracciabile e aggiungerà un ulteriore interesse per noi appassionati.
Che ne pensate di questi prodotti? Quale vi affascina maggiormente?