Come forse saprete, la scorsa settimana ho avuto il piacere e l’onore di partecipare in qualità di giudice al France Bière Challenge, concorso birrario al debutto che nella sua prima edizione si è tenuto a Parigi. Sebbene la trasferta in terra francese sia durata solo un paio di giorni pieni, ho avuto modo di approfondire un minimo la scena brassicola locale, grazie almeno a due aspetti: la natura del contest, incentrato esclusivamente sulle produzioni nazionali (come avviene da noi con Birra dell’anno di Unionbirrai), e le visite a locali e birrifici, previsti dal programma o organizzati in proprio. La Francia non può essere certo definita una nazione tradizionalmente legata alla birra, né essere inserita tra le più interessanti realtà emergenti del movimento craft internazionale (a differenza dell’Italia); eppure conta più di 1.000 birrifici artigianali, grazie ai quali qualcosa ha cominciato a muoversi negli ultimi anni.
Gli assaggi
Gli assaggi per il France Bière Challenge si sono concentrati nella sola mattinata di venerdì, rendendo il lavoro dei circa 50 giudici presenti abbastanza agevole. Ho avuto la possibilità di confrontarmi con tre categorie molto diverse fra loro e perfette per tastare il polso di una realtà brassicola: Pils e Lager, American Pale Ale e maturazioni in legno. L’impressione generale (confermata dalle bevute dei restanti giorni) è che i birrifici francesi fatichino molto con gli stili tradizionali, mentre si difendano in maniera soddisfacente con tipologie più “ricercate”, come le Sour o le Barrel Aged. Diverso il discorso per le birre di ispirazione americana, che vanno per la maggiore, e dove di conseguenza è possibile incontrare un po’ di tutto: prodotti piuttosto convincenti e altri da riporre nel dimenticatoio il prima possibile. Il livello medio comunque non mi è sembrato molto elevato e la scena nel suo complesso mi ha ricordato quella italiana di una decina di anni fa, con alcune punte di livello e molta mediocrità.
La Fine Mousse
Se il movimento francese della birra artigianale è ancora acerbo dal punto di vista produttivo, lo stesso può essere affermato per i locali. Nonostante le sue dimensioni impressionanti e la predisposizione per la vita serale, Parigi non è sicuramente una meta birraria paragonabile ad altre metropoli europee come Londra, Roma, Praga o Barcellona. Anzi, il panorama è abbastanza desolante in proporzione alle potenzialità della città, cosicché non ho avuto dubbi nello scegliere la meta per la serata del primo giorno: La Fine Mousse (sito web), situato nell’undicesimo Arrondissement. È considerato il punto di riferimento per la scena birraria parigina, grazie alla competenza dello staff e a una batteria di spine ampia e ben fornita, soprattutto di produzioni francesi. Non è però di quei locali che rimangono nel cuore e dove ci si immagina di tornare: gli spazi sono angusti e spogli, i prezzi elevati e l’atmosfera per nulla speciale. È una tappa imprescindibile per ogni appassionato, ma pensare che a Parigi non c’è niente di meglio lascia decisamente interdetti.
Ben diversa è l’esperienza al ristorante de La Fine Mousse, situato dall’altra parte della strada. Anche qui gli interni sono un po’ freddi, ma l’offerta del locale è straordinaria. Aspettatevi di mangiare in maniera divina e di accompagnare le portate con le birre disponibili alla spina e, soprattutto, in bottiglia. La selezione è di alto livello ed è possibile incappare in chicche e rarità provenienti tanto dalla Francia quanto dal resto del mondo. Un ottimo ristorante birrario, di quelli che dovremmo avere a bizzeffe anche in Italia.
Brasserie de l’Etre
La prima destinazione del nostro tour organizzato dagli ideatori del France Bière Challenge è stata la Brasserie de l’Etre (sito web), birrificio cittadino situato nel diciannovesimo Arrondissement. Tra i palazzi di questa signorile zona di Parigi sorge l’edificio che ospita sia il birrificio, sia l’attigua birreria battezza Ah! La Pompe à Biere. Abbiamo visitato solo il primo, che ha un aspetto un po’ decadente e disordinato, simile a quello di alcuni produttori delle Fiandre. Da segnalare le splendide illustrazioni che campeggiano sulle etichette, simili a quelle di alcuni bestiari – peccato per il materiale usato, davvero scadente! – mentre l’unica birra assaggiata non mi ha positivamente impressionato, per usare un eufemismo. L’azienda ha cominciato a produrre nel 2015 e l’anno successivo è stato nominato da Ratebeer miglior birrificio emergente di Francia.
Paname Brewing Co.
Non lontano dalla Brasserie de l’Etre sorge il brewpub Paname Brewing Co. (sito web). Ciò che colpisce a prima vista è la posizione del birrificio, situato all’interno di un suggestivo edificio posto sul Bassin de la Villette, il più grande specchio d’acqua artificiale di Parigi e parte della rete cittadini di canali. Il fascino esterno (con diversi tavoli e posti a sedere direttamente sul canale) non viene meno varcando la porta del brewpub: ci si accorge subito che gli interni sono caldi e accoglienti, con tanto legno e uno stile vagamente marinaro, mentre in lontananza si intravede l’impianto a vista. Abbiamo assaggiato tre birre: una Saison, una IPA e una Black IPA. Mi aspettavo un livello non particolarmente interessante, ma mi sono dovuto ricredere: la Saison è anonima, la IPA gradevole e la Black IPA davvero ben realizzata e a tratti entusiasmante. Considerando la deludente offerta cittadina di locali, non capisco perché Paname non sia menzionata tra le mete più interessanti di Parigi.
Restaurant Vivre
Per onore di cronaca vale la pena menzionare anche l’ottimo ristorante Vivre (sito web), dove abbiamo cenato l’ultima sera. Oltre a una cucina divina, questo luogo offre una selezione a cura di Elisabeth Pierre, con birre provenienti da microbirrifici francesi. Non è molto ampia, ma permette di entrare in contatto con la proposta brassicola nazionale mentre si gustano squisiti piatti.
In definitiva l’impressione è che la scena brassicola parigina e francese stia vivendo la fase tipica dei fenomeni in forma embrionale: tanto fermento ed entusiasmo, ma anche poca solidità sia a livello produttivo che di offerta. Come mi è capitato di leggere su Food Republic, la birra artigianale in Francia non rappresenta un boom, ma una lenta rivoluzione che deve confrontarsi con i limiti di una distribuzione limitata e di abitudini al consumo ben diverse. Qualcosa con cui si è scontrato, e si scontra tuttora, il movimento italiano della birra craft:
Quindi la Francia è al centro di un boom della birra artigianale? No. È più una rivoluzione che un boom. Ci sono pionieri e punti di riferimento e stanno comparendo tanti fenomeni nuovi destinati a crescere in futuro. Ma una distribuzione limitata, un regime di tassazione oneroso e la poca familiarità dei consumatori francesi con questi prodotti, fa sì che un visitatore americano in una città della Francia fatichi a trovare qualcosa che vada oltre i soliti marchi industriali, come il francese Kronenburg o il belga Leffe.
In conclusione spendo due parole per congratularmi con l’organizzazione del concorso, perfetta sono molti punti di vista e attenta nel valorizzare il patrimonio birrario locale con visite ed eventi.
FYI, France has 1200 craft breweries right now and not 500.
Thank you
[…] débat vif a démarré sur le groupe Facebook French Beer Geek puisqu’un juge italien du magazine Chronica di Birra, Andrea Turco n’a pas été forcément convaincu par le niveau des bières françaises […]