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E fu così che i birrai italiani abbandonarono gli ingredienti strani

Grazie alla disponibilità di Vincenzo Monaco, qualche giorno fa sono riuscito finalmente a vedere privatamente il documentario Brew It, realizzato da Black House Production. Come intuibile a suo tempo dal trailer, è un prodotto davvero ben confezionato, che offre una valida panoramica del nostro movimento birrario. Nel post di oggi tuttavia non voglio parlarvi di Brew It, ma di una considerazione che fa Agostino Arioli del Birrificio Italiano in uno dei passaggi del documentario. Ripercorrendo infatti l’evoluzione del settore, egli sottolinea come a un certo punto i birrai italiani abbiano iniziato a ricorrere a ingredienti molto particolari. Niente di nuovo, ci verrebbe da pensare, se non che Agostino aggiunge che si tratta di una moda in forte declino. E riflettendoci bene, è proprio così.

C’è stato un momento nella storia della birra in Italia in cui qualsiasi microbirrificio – naturalmente con le dovute eccezioni – sembrava non potersi esimere dal proporre novità con ingredienti insoliti. Abbiamo visto di tutto: frutta, tabacco, tartufo, spezie semisconosciute o esotiche, caffè, fiori, canapa, curry e chi più ne ha più ne metta . Insomma un trionfo di birre insolite, che con la loro presenza dominarono la scena circa due o tre anni fa.

I risultati furono altalenanti e, col senno di poi, forse nel complesso un po’ deludenti. Alcuni birrifici tuttavia ottennero popolarità proprio con produzioni simili: ricordo ad esempio un passato Vinitaly in cui la Birra del Borgo spopolò tra i sommelier, presentando le sue KeTo Reporter e KeTo Reale, brassate con tabacco Kentucky Toscano. In quel caso un successo ampiamente meritato (soprattutto per la prima), ma lo stesso non si può affermare per tutte le produzioni italiane con ingredienti inusuali.

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Quel fenomeno permise certamente di attirare l’attenzione dei neofiti, ma raggiunse alcuni casi di esagerazione, tanto da far preoccupare gli appassionati più intransigenti. A mio modo di vedere veicolò un modo sbagliato di intendere la birra artigianale, che a un certo punto doveva necessariamente essere “strana”: prodotta con qualche ingrediente particolare e finalizzata solo a stupire il curioso di passaggio. Come se il risultato finale passasse in secondo piano… e visto il livello qualitativo generale di certi esperimenti non si tratta di una conclusione tanto campata in aria.

Pensando però alle birre che compaiono ora sul mercato, è ragionevole pensare che quella fase del movimento birrario italiano sia passata. Le novità dei birrifici italiani sembrano molto più pragmatiche, se mi passate il termine: spesso sono reinterpretazioni di stili classici, ma senza che il tocco personale del birrario si concretizzi necessariamente nell’aggiunta dell’ingrediente strano di turno. Sicuramente è cambiato il mercato e forse è aumentata la concorrenza proveniente dall’estero: i birrifici italiani si lanciano sempre più raramente in voli pindarici, puntando piuttosto a solide birre ispirate ai maggiori paesi birrari del mondo, Stati Uniti in testa. Il successo delle IPA e delle sue derivate ha sicuramente rappresentato un fattore importante in questa evoluzione, ma ritengo che semplicemente non esistono più le condizioni per ricorrere sistematicamente a ingredienti eccentrici.

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Sia chiaro, le birre strane non sono improvvisamente scomparse dalla proposta dei birrifici italiani. Più che altro c’è chi si è specializzato nell’uso di ingredienti insoliti, avendo accesso continuo ad essi e quindi potendo migliorare costantemente il loro impiego – penso a Troll e più recentemente a Foglie d’Erba. Per il resto, le spieziature e le aromatizzazioni che oggi incontriamo sono sempre più in linea con quelle degli stili classici. C’è quindi molta più aderenza alla dottrina brassicola tradizionale rispetto al passato.

Fino a poco tempo fa era difficile che un birrificio appena aperto non proponesse nel giro di poco tempo qualche birra con ingredienti strani. Oggi ci sono giovani realtà che non sentono più la necessità di certe scelte: penso a Brewfist, Extraomnes, Elav, Birrificio del Forte, ecc. Tutti nomi che stanno ottenendo un ottimo riscontro sul mercato – segno che i consumatori non sentono assolutamente la mancanza di ingredienti insoliti.

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Oggi quella tendenza è stata forse sostituita dall’uso del legno per le maturazioni, ma rispetto ad allora questo mi sembra un fenomeno meno isterico e impulsivo, più “studiato” (almeno in Italia). Con tutti gli aspetti positivi che possono derivarne.

E’ dunque finita l’era del “famolo strano”? No in generale, sicuramente sì per quanto riguarda la rincorsa all’ingrediente più fuori di testa. Personalmente non posso che esserne felice. E voi?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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49 Commenti

    • Non si sente parlare di lui da un po’, ma credo che sia sempre in produzione. Lo scorso anno era presente all’IBF Roma e penso anche in qualche altra tappa

  1. L’uso del legno sicuramente è più interessante e soprattutto più italico. A mio parere, ovviamente modesto, lega di più il prodotto al territorio, alle tradizioni con radici profondissime e soprattutto crea (passatemi il termine) il vero gusto italiano.

  2. Non sono sicuro che sia una tendenza in declino. Forse tanti birrifici attualmente privilegiano -giustamente- birre che abbiano più mercato rispetto al fare clamore.
    Per quanto una IPA puà essere percepita come “birra strana” da chi è meno smaliziato 😀

    Di base non sarei nemmeno contrario alla sperimentazione, ma il problema nasce (o nasceva) quando birrifici nemmeno in grado di fare una base decente di qualche stile classico, si butta(va)no direttamente su territori ambiziosi.

    Riguardo l’uso del legno pure avrei dubbi e spesso si può ricadere nello stesso errore degli ingredienti “esotici”. il consolidato uso di botti di single o quello recente di rovere nuovo hanno IMO molto senso. Trovo invece che abbia meno senso l’uso di altro…

    • Una IPA è una birra strana per chi non beve artigianale, sicuro. Ma a ben vedere lo è qualsiasi stile un attimo lontano dalle Lager industriali. Ed è perfettamente logica una IPA, per quanto strana possa apparire. Diverso è il ricorso a ingredienti improbabili, che solo in pochissimi casi (in base all’abilità del birraio) danno vita a birre valide

  3. magari dirò una banalità, ma sono convinto che ciò che più conti sia il risultato finale del prodotto e non gli ingredienti con cui questo risultato viene ottenuto.
    Se uno decide di fare una porter con pizza e fichi e quando la assaggio la trovo più gradevole di una porter tradizionale allora ben venga l’utilizzo di pizza e fichi come ingrediente.
    Nonostante questo al momento non ho ancora trovato una birra prodotta con qualche ingrediente particolare e anomalo che mi sia piaciuta di più rispetto a uno stesso stile birraio prodotto a regola d’arte utilizzando solo ingredienti tradizionali e penso che questa cosa dovrebbe far riflettere i mastri birrai nazionali.
    Personalmente non sono neanche un amante delle birre che vanno tanto di moda oggi composte da una parte di mosto di birra e da un’altra di mosto di un qualche vino particolare. Mi sembra un artificiosità eccessiva non giustificata dal risultato..

    • Quoto quasi tutto.
      Però la magia secondo me è nel riuscire con i soliti 4 ingredienti a creare birre varie e dal risultato diverso anche all’interno di un singolo stile.

      Bisognerebbe distinguere anche cosa si aggiunge.
      Per esempio caffè e cioccolato (che in italia ancora non ho visto utilizzare spesso mentre altrove è quasi la norma) -se usati bene- servono a correggere e/o esaltare sapori che comunque possono essere ottenuti anche con i soli ingredienti base.

    • Oltre la banalità (passami l’espressione) dell’importanza del risultato finale indipendentemente dalle scelte produttive effettuate, c’è un problema non da poco. Utilizzare ingredienti insoliti non è facile: non basta buttarli in mezzo a una cotta. Tutt’altro: il più delle volte bisogna avere conoscenze approfondite di chimica e biologia (oltre che essere bravi birrai) per intuire come si comporteranno nelle fasi produttive. E in molti casi queste competenze in Italia mancano.

  4. E’ di pochissimi giorni fa l’annuncio della produzione di una Imperial IPA allo sciroppo d’acero (del commercio equo e solidale, per la precisione). E il birraio in questione è anche uno bravo, non uno che abbia bisogno dell’ingrediente strano per far parlare di sè o della propria produzione.
    Non sono ancora convinto che sia passata la moda, forse siamo in quella fase in cui è diventato più difficile pensare a un ingrediente strano che qualcun altro non abbia ancora utilizzato per fare una birra.

    • Come ho scritto le birre con ingredienti strani continueranno a esserci, ma non è più una moda, o quantomeno è stata superata da altre. Soprattutto in un momento in cui stanno prendendo piede le one shot, i birrifici continueranno a cercare la novità anche con simili soluzioni. Rispetto al passato mi sembrano comunque scelte più assennate, meno a effetto indipendentemente dal risultato finale. C’è meno isteria collettiva a livello produttivo.

      • ma poi che c’è di così strano nello sciroppo d’acero? è uno zucchero strano quanto il miele. come non mi pare così strano il succo di mirtillo che rifermenta la Draco

        altra cosa usare – chessò – i carciofi. e poi spesso è una questione di comunicazione: puoi fare la birra alla maracuja e scriverlo a caratteri cubitali, puoi usare spezie o frutta e nemmeno dichiararlo esplicitamente come alcuni fanno – non solo in belgio

          • non è difficile da capire. l’ingrediente strano lo puoi usare perché serve alla ricetta che hai in testa o perché è strano e serve per far parlare della tua birra e stuzzicare curiosità

            se ci pensi un attimo, una delle birre con gli ingredienti più assurdi e casuali del mondo è anche una delle birre meno modaiole e più tradizionali del mondo. perché non sono messi con l’intenzione di comunicare un qualche esotismo. anzi, non sono manco dichiarati in etichetta. indovina quale?

            è quello il punto, e se sfugge a te, temo sfugga al 99% degli appassionati italiani

            un birraio belga si farebbe scuoiare piuttosto che dire quali spezie usa. un birraio italiano ci costruisce il marketing del prodotto

          • Ma a volte ci sono anche birre in cui l’ingrediente strano è dichiarato a lettere cubitali e sono comunque buone. Oltre a quella già citata, butto lì a caso una Quarta Runa o una Nora. Non esiste una regola per cui se l’ingrediente è celato la birra è buona e se è dichiarato fa schifo. Per questo non capisco il tuo assunto di prima.

          • non capisci perché stiamo parlando di due cose diverse. il mio primo intervento era sull’effettiva “stranezza” o meno dell’ingrediente e della suo vero ruolo all’interno di una ricetta o di un’etichetta. tu parli del risultato, che non è quello di cui stavo parlando io

          • in realtà rispondevo ad Alessio agganciandomi a te 🙂 poi ho introdotto una mia considerazione a mio parere importante

            hai svicolato il mio quiz cmq… ahiahiahi!

          • Sì, credo anche di aver conosciuto la risposta in un’era lontana per la mia memoria provata.
            Nozione proveniente da Kuaska… ho l’impressione che fosse una belga insospettabile…

          • non so se sia lo stesso belga, ma gli ingredienti più improbabili del mondo – e ogni volta abbastanza a casaccio – li uso il grande Dany Prignon di FANTOME. è che non sai mai quali… 😛

            prova a chiedere ai vari geeks se sanno almeno che esiste…

        • Non so, da parte mia raramente provo entusiasmo all’annuncio di una birra con un ingrediente strano.

          (se ho capito il quiz, invece, direi Vapeur, Fantome è troppo facile)

        • Ahia, SR, non parlar di carciofi, ne ho provata una fatta davvero con i carciofi e ci ho rimesso il sonno per una notte intera…

  5. Credo che, se il “famola strana” sembra attenuato, sia solo perchè qualche produzione bizzarra si stia spostando sulla modalità “one shot”. Ma spero che il solo cominciare a ritenerle fuori moda ne inibisca davvero il lancio, spesso oggetto di marketing per la spezia in sè e non per il carattere della birra venuta fuori.
    Probabilmente dal “famola strana” si è passati semplicemente al “luppoliamola strana”!

  6. Stranamente le one shots di Toccalmatto non hanno ingredienti strani ma sono state
    2 dei veri e propri classiconi ed 1 con luppolatura innovativa…..
    Credo ognuno possa fare quello che vuole….quindi se un birraio vuole utilizzare spezie od altro nelle proprie
    Birre puo’ farlo ….quello che conta e’ il risultato finale…

  7. La creatività è inutile senza il controllo della qualità e deve sempre andare di pari passo con la competenza tecnica.
    Utilizzare ingredienti insoliti ha senso solo nell’ambito di una ricetta che porta ad un prodotto “fruibile” e non finalizzato ad un esercizio di pura sperimentazione o, peggio ancora, solo per stupire e tenere alta l’attenzione del mercato sul proprio birrificio.
    In nostro vero “made in Italy” non è il “famolo strano” birrario, ma un utilizzo sapiente anche degli ingredienti insoliti, l’utilizzo magistrale delle botti, ferme restando le interpretazioni di stili classici…ossia, soprattutto di birre di facile beva.
    In altre parole,è bello fare (bene, molto bene) le ammiraglie, ma di fatto un birrificio campa con delle ottime e magari divertenti utilitarie 🙂

  8. Gli Americani sono maestri nelle birre con ingredienti strani, solo che non sono i nostri. E’ veramente un trend “italiano”? In Italia usiamo i nostri ingredienti (su tutti, il basilico), perchè ne abbiamo una varietà pressochè infinita. Ma come per il cibo, mi chiedo sempre “perchè?”. Speziare una birra perchè si senta solo la spezia per me è inutile, tanto vale metterci l’estratto a fine fermentazione.

    • Quoto! Secondo me l’utilizzo di ingredienti non convenzionali deve essere funzionale alla birra e non il contrario. E sono d’accordo con Andrea che vede il fenomeno in declino, o meglio, lo definirei “sotto controllo”. Aggiungo anche che secondo me la qualità e la competenza media dei birrai è molto migliorata ed ha affinato tecniche e gusto.

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