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“Raging” Flying Dog: il birrificio contro la censura in Michigan

L'etichetta della Raging Bitch

Su queste pagine spesso abbiamo parlato di etichette e di come talvolta alcune scelte “aggressive” possano sembrare fuori luogo. L’esempio più lampante è rappresentato forse dalla Tìa Loca del birrificio danese Beer Here, che ritrae un incrocio tra il protagonista del fumetto Tintin e nientemeno che Hitler. Meno ardito, ma tutto italiano, è invece il caso della Superanale di Bi-Du. A volte le scelte commerciali delle aziende sono così estreme da sollevare dubbi sulla bontà del messaggio comunicato, proponendo questioni di più ampio respiro, che coinvolgono la libertà di espressione e di impresa, ma anche la salvaguardia delle regolare basilari di vita sociale. Se dubitate che una semplice etichetta sia il punto di partenza per discussioni di tale livello, leggete cosa è successo recentemente in America, e più precisamente al birrificio Flying Dog.

Il produttore statunitense è uno dei più apprezzati della nazione, ben conosciuto ache alle nostre latitudini per le sue ottime birre. Oltre all’elevata qualità produttiva, Flying Dog si è sempre contraddistinto per un marketing piuttosto aggressivo, con grafiche curate e nomi ad effetto. Prendete la Raging Bitch, creata per il ventesimo anniversario dell’azienda: è una Belgian IPA molto buona, che non passa certo inosservata sugli scaffali dei beershop grazie alla splendida illustrazione presente in etichetta. Il nome è traducibile letteralmente con “cagna furiosa” – sebbene il termine “bitch” sia usato anche con l’accezione di “puttana” – e la grafica riesce ad essere estremamente evocativa.

Vedendo l’illustrazione, vi verrebbe mai in mente di vietarne la vendita? Probabilmente no, ma come sappiamo gli USA sono una nazione molto particolare da questo punto di vista, con posizioni che a volte possono sembrarci incomprensibili. Quindi non meravigliatevi troppo se vi dico che la Raging Bitch non può essere commercializzata nel Michigan. Proprio così: come riporta Beernews, nel 2009 Flying Dog chiese una licenza per la vendita della birra in questo stato, ricevendo un secco no dalla commissione di controllo locale sugli alcolici. Il motivo? L’etichetta sarebbe “potenzialmente dannosa per la salute pubblica, la sicurezza e il benessere collettivo”. Tutti questi problemi da una semplice etichetta, pensate un po’.

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Inutile dire che alla Flying Dog non si limitarono di accettare passivamente il responso, ma iniziarono una guerra nei confronti della Michigan Liquor Control Commission, che ora sembra arrivata al momento clou. Grazie al supporto del Centro per la difesa della libera imprenditoria, Flying Dog si è appellata a un giudice della corte federale affinché il divieto venga rimosso. Nell’occasione l’azienda ha addirittura citato il primo emendamento della costituzione americana, che, come saprete, sancisce il diritto inalienabile della libertà di espressione.

Il CEO di Flying Dog, Jim Caruso, ha spiegato che l’azione legale intrapresa dalla sua società va ben oltre la questione di ammissibilità di un’etichetta, toccando temi ben più ampi:

[La nostra azione] ha a che fare con enti di vigilanza che lentamente si stanno trasformando in strumenti di controllo del pensiero. Crediamo non soltanto nella libertà di parola e di espressione artistica sia per le aziende che per le persone, ma anche nel fondamentale diritto del singolo di scegliere o rifiutare libri, opere artistiche e letterarie, birre artigianali e altre forme di espressione artistica in accordo con le proprie preferenze.

Crediamo nella libertà di scelta. Non crediamo che i cittadini del Michigan meritino che i controllori del governo decidano arbitrariamente come le loro birre si debbano chiamare.

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Flying Dog si mostra molto ottimista sull’esito della vicenda, affermando che a breve gli appassionati dello stato americano potranno bere una delle loro produzioni più acclamate. Al di là di come finirà la vicenda, c’è qualcuno tra voi che ritiene giusto che la Raging Bitch non debba essere commercializzata?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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25 Commenti

  1. Assolutamente contro ogni censura e morale ma, premettendo che l’accezione più comune del termine è ormai diversa, voi la vendereste la birra “la stronza furiosa”?

    Il problem degli stati uniti è che nessuno si accorge di nulla fin quando chi se lo può permettere punta il dito.

    • Leggendo il nome di questa birra mi ha sempre incuriosito l’analogia con la Dulle Teve (puttana pazza). Ma De Dolle non ha mai avuto problemi, almeno che io sappia…

      • Da quello che so sul mercato USA la scritta “mad bitch” non è stata gradita. Il nome dulle teve invece non essendo di facile comprensione aiuta a mantenere l’anonimato :°D

        CMQ la raging bitch potrebbe essere davvero stata ispirata da questo nel nome

  2. Giusto una precisazione linguistica. L’accezione comune della parola “bitch”, negli USA, non e’ assolutamente “puttana” (che invece si dice whore), ma appunto “stronza”. Un esempio: “my math teacher is a total bitch” (la mia prof di matematica e’ una grande str**za). Chiedo scusa ad Andrea per il linguaggio poco pulito 🙂

    Io penso che l’origine della disputa sia appunto quella di usare una parolaccia sull’etichetta di un prodotto che e’ vendita’ in luoghi (ad esempio supermercati) accessibili a persone di tutte le fasce di eta’. Se da un lato negli USA la liberta’ di parola (e se vogliamo di parolaccia) e’ assolutamente sacrosanta, dall’altro si fa molta attenzione affinche’ contenuti che possono in qualche modo turbare i piu’ sensibili siano di fatto accessibili solo a chi sceglie liberamente di usufruirne.. ad esempio guardando un particolare show in tv, comprando un libro, un disco etc. Nella fattispecie la storia e’ un po’ ridicola, ma il discorso generale, in effetti, ha la sua logica.

    Fossi in quelli della Flying Dog, io non sarei cosi’ sicuro di averla vinta.

      • Assolutamente no.
        Era solo per dire che è difficile capire se la censura è cercata oppure no.
        A volte conviene oltrepassare il limite per divertirsi a fare un po’ di casino che coinvolgerà anche i clienti affezionati, ne attrarrà altri, tutto nel calderone del messaggio o nello spirito del birrificio che così si dota di un’anima. Con positivi, di solito, riscontri commerciali (se sei sincero). Giustamente, oserei dire, perchè oggi da un prodotto e da un produttore ci si aspetta di più dei soliti 33 cl.
        Io VOGLIO anche il ratto imbalsamato o la birra improbabile o la battaglia legale contro lo stato canaglia. Così riesco a divertirmi, ad appassionarmi…ad essere coinvolto e partecipe.

        Il valore aggiunto.
        50% prodotto (nozione) 50% emozione.
        Che dite, si può elencare tra gli ingredienti?

        Mio modesto parere.
        So che pochi assentiranno, ma sopravviverò….

        • se per far parlare di una birra è più importante il nome che il contenuto, siamo in pieno declino. noi che la beviamo, non il mercato

          • Beh, la beer reinassance americana si è fondata sulla qualità ma non ha trascurato altri fattori. Dopo tutto dissetando i soli appassionati puri non si pagano i conti a fine mese. Anche perchè si dice che scrocchi sempre 😀

            Ma a parte gli scherzi. Se ad un buon prodotto associ anche una immagine che tiene vivo l’interesse non daneggi chi ama il contenuto. Anzi, allargando il mercato avrai modo di poter vendere un prodotto a prezzi più umani.

            Poi, le vie sono tante e non so quale sia quella universalmente giusta.
            Agostino o Mikkeller?
            Personalmente sono contento che esistano entrambi.

            Ying e yang.
            Bianco e nero.
            Devono convivere due poli per darci la felicità.
            Di solito è così.
            E l’uno rafforza l’altro.

          • le parole sono importanti! (cit.)

            non ho detto che l’immagine non sia importante. ho detto che l’immagine non può essere più importante del contenuto. qua stiamo parlando di una birra che nessuno di noi ha mai assaggiato, solo perché si chiama stronza incazzosa, o qualcosa del genere. manco fosse sponsorizzata da Marco Masini. ma bel chissenefrega, personalmente, posso dirlo? dopo un po’ stufano i brewdogghi, figuriamoci questi…

            fra Agostino e Mikkel non avrei un picosecondo di indecisione. voglio sperare di essere nella maggioranza. plebiscitaria

          • io non voglio scegliere invece tra Mikkeller e Agostino.
            amo le birre di entrambi, e voglio che entrambe le filosofie restino e prosperino nel mondo-birra.
            la scomparsa di uno o dell’altro sarebbe cmq grave e dannosa.

          • ovvio. era una risposta a Livingstone che proponeva una contrapposizione. anche se per l’eventuale scomparsa di Mikkeller non verserei una lacrima: non la apprezzo da nessun punto di vista. il che non esclude che fra decine e decine di proposte De Proef estragga ogni tanto dal cilindro cose piacevoli. ma ho di meglio da fare che star lì a provarle tutte

  3. In un pases dove puoi portare tranquillamente il tuo figlio di 5 anni a sparare al poligono e a 9 gli regai il suo primo mitra trovo logico vietare una birra con un nome del genere, è una mentalità che non capirò mai. D’altra parte non capisco nemmeno quella italiana, perciò mi arrendo 😉

  4. siamo tornati ai tempi del PARENTAL ADVISORY?
    per me vale quello che ha detto Dee Snider in tribunale.
    musica o birra, poco importa.
    ma chi c…o se ne frega se poi sfruttano la cosa a loro vantaggio,
    i principi vengon prima del marketing.

  5. @ SR
    Mai detto il contrario. Senza contenuto l’immagine è niente (anche se fa vendere, ma non mi interessa).
    Io la Raging female dog l’ho bevuta e mi è piaciuta.
    Se passi dalle mie parti dovrei averne ancora qualche bottiglietta.

  6. cerco di spiegarmi.
    da una belgian ipa mi aspetto qualcosa di belgian che non sia però così in contrasto con la luppolatura. alla lunga è un massacro alle papille. una da 0,33 ho fatto fatica a finirla. (forse conta anche il fatto di averla bevuta senza mangiarci qualcosa in accompagnamento).

    la snake dog mi è sempre piaciuta e la double dog idem (per me davvero buona, ma io sono un fan delle Double IPA o Imperial IPA). ora è un po’ che non le bevo, e potrei ricredermi, anche alla luce del fatto che la Pale Ale (bevuta di recente) me la ricordavo molto meglio. qui però secondo me conta tanto la conservazione della birra: supermercato, mesi di scaffalatura sui beer shops,
    stress da viaggio…. boh!

    la Gonzo è una figata. concordo.

    • Per me c’è molto di meglio in giro.
      Bevute una due volte la snake e la double (una mappazza imbevibile anche fuori stile IMO) non ho più ripetuto l’esperienza.

      La raging, sarà che era recente, non mi è dispiaciutà. Molto bevibile. Di certo non una houblon ma qualcosa di “belga” c’era.

      In generale, tranne la gonzo, non ho una buona opinione della Flying DOg. Sicuramente non arrivano in formissima in EU, va detto.

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